giovedì 30 novembre 2017

A Palencia (Vita di San Manuel González, 8)

   Seppur con dolore lasciò la guida dell’amata diocesi di Málaga e accettò con obbedienza e umiltà la nuova destinazione che il Papa gli aveva indicato. Non fu facile per lui distaccarsi da anni e anni di intensa attività pastorale svolta negli ambienti familiari della sua Andalusia. Sempre però con l’atteggiamento di grande abbandono alla volontà di Dio che si manifesta nei superiori, accettò il sacrificio e si donò interamente per la nuova diocesi. La situazione che trovò non fu certamente semplice. Le tracce della Guerra civile erano ancora vive in quella città della Castiglia e León. Palencia era in quel momento sotto il controllo repubblicano e la Chiesa non era vista di buon occhio. Bisognava fare attenzione a come muoversi. Basti ricordare che nel giugno 1936 vennero proibite le processioni pubbliche, così quella nella solennità del Corpus Domini si svolse all’interno della cattedrale. Per un periodo i suoi seminaristi vennero chiamati a prestare servizio militare, un fatto che destò molta preoccupazione nel santo. Tuttavia, non li abbandonò mai e si tenne in contatto costante per via epistolare. Quando il 19 settembre 1936 i seminaristi rientrarono dalle vacanze estive, il seminario che trovarono era uno dei pochi sopravvissuti alla chiusura. Accolse così  seminaristi di altre diocesi e perfino un gruppetto proveniente da Málaga. Come nella città andalusa, anche a Palencia non mancarono le difficoltà e le opposizioni, ma il santo non era tipo da lasciarsi scoraggiare. La sua carità verso gli altri si rivelò feconda di opere: aiutò non pochi sacerdoti poveri e pagò le rette ai seminaristi che non avevano la possibilità di mantenersi gli studi. 
   Il clima sociale purtroppo si manteneva sempre teso, pesava il conflitto tra nazionalisti e repubblicani. Un giorno, mentre tornava con il treno dalla settimana pro seminario che si svolse a Toledo, una grossa pietra lanciata da mano violenta, entrò nel vagone e lo colpì sul pettorale senza arrecargli danno. Il 19 giugno 1936, scoppiarono tumulti e scontri tra repubblicani e militari e guardia civile. In quei giorni trovò la morte il governatore repubblicano, ma anche molti cattolici vennero trucidati. Il santo invitò tutti i fedeli a supplicare la Vergine Maria attraverso la preghiera del Rosario, perché concedesse pace  e riconciliazione alla Spagna. Il 24 gennaio 1937, nella festa di Nostra Signora della pace, invitò tutti i bambini a supplicare il Cuore di Gesù e di Maria per ottenere pace alla nazione.  
   In quel periodo vennero compiuti alcuni furti sacrileghi in varie parrocchie della diocesi e a distanza poco tempo l’uno dall’altro: a Soto de Cerrato, a Monzón de Campos, a Reinoso de Cerrato e a Prádanos de Ojeda. In risposta a questi atti, promosse ovunque il culto eucaristico e la devozione al Cuore di Cristo. Organizzò le adorazioni notturne, le settimane eucaristiche, le preghiere di riparazione, invitò alla comunione frequente e dette impulso alla catechesi. Cercò di riavvicinare i fedeli alla pratica dei Sacramenti e a rendere la loro fede più adulta. Iniziò la visita pastorale nelle varie parrocchie della diocesi, nonostante i pericoli e il momento di grande incertezza sociale e politica. Non temeva per la sua vita, ma voleva assolutamente confermare la fede della gente in quel momento difficile. Non si risparmiò fatiche e disagi per raggiungere quante più parrocchie possibile e inviò anche dei missionari a predicare nei villaggi più sperduti.  
   Nel marzo 1936 aprì una casa di Nazaret a Palencia e istituì in diocesi anche i discepoli di san Giovanni. In quella casa trasferì il noviziato, dato che a Málaga la situazione sociale era ancora drammatica. Infatti, la presidente delle Marie, Carmen López de Heredia, venne assassinata. Con questa morte, anche le Marie avevano dato il contributo di sangue per la pacificazione della Spagna e per l’avvento del Regno di Dio. L’8 settembre seguente, emise il decreto di approvazione degli statuti, del direttorio e del governo della fraternità delle Marie nazarene. Palencia diventò il punto di riferimento per le consacrate sparse nei vari Nazaret di Spagna che andavano diffondendosi. Nel 1937 radunò i bambini riparatori. 
   Nel settembre 1939, fece gli esercizi spirituali insieme con il clero. Sarebbero stati gli ultimi, perché la malattia stava minando definitivamente la sua salute. Il 28 ottobre 1939, compì un viaggio a Saragozza per visitare le suore nazarene  che erano state chiamate in diocesi dal maggio precedente. Approfittò per recarsi in pellegrinaggio  al santuario caro a tutti gli spagnoli: la Vergine del Pilar, che lui considerava sua particolare protettrice. Al ritorno si fermò a Madrid per rappresentare l’arcivescovo di Burgos nella Conferenza episcopale dei metropolitani. Il 13 novembre rientrò a Palencia, dove i dolori alla testa si intensificarono. Riusciva ormai solo a celebrare la messa e nemmeno poteva farlo tutti i giorni. Anche le visite al tabernacolo nella cappella gli costavano grandi sforzi. Da quel momento in poi dovette far fronte al peggioramento dello stato di salute. Fin da giovane aveva sofferto di colite acuta e cronica e, soprattutto, come sappiamo, di forti emicranie che talvolta lo obbligavano a interrompere anche quello che stava facendo. A volte doveva scrivere in ginocchio a causa dei forti dolori alla testa. Nell’età avanzata gli si presentò anche un’affezione alla vescica: una nefrite cronica e un’ipertrofia prostatica. 
   Negli ultimi mesi della sua vita la sofferenza aumentò notevolmente, soprattutto a causa del mal di testa. Ripeteva sempre il suo Fiat! Sicuro e fiducioso nella Provvidenza divina, alla quale si era abbandonato. In quel periodo intensificò la preghiera, sostando in cappella più a lungo per adorare il Santissimo Sacramento e recitare il Rosario. Negli ultimi giorni, in cui le forze stavano diminuendo rapidamente, disse a chi lo circondava: «Sono stato più di là che di qua e ho visto che quello che importa, è la santità, perciò «si deve sacrificare tutto alla volontà del Signore». Al termine della sua vita sentiva pressante l’invito di Cristo a donarsi interamente, a lasciare ogni minimo affetto o attaccamento e a preparasi all’incontro definitivo con Lui. Davanti al Santissimo Sacramento prima di uscire definitivamente dal palazzo episcopale disse: «Cuore di Gesù, ti rendo grazie per tanti dolori che mi dai; grazie per quello che mi hai fatto soffrire. Benedetto sia per tutto e perché ora vuoi che me ne vada». E poi in un momento di grande abbandono e di sofferenza, aggiunse: «Sono tuo, fai di me quello che vuoi». 
   Il 28 novembre, ricevette il Sacramento degli infermi, la comunione e l’assoluzione generale. Ripresosi un poco, il 31 seguente, venne deciso di trasferirlo in ambulanza a Madrid per ricoverarlo nella clinica del Rosario. Nel viaggio verso la capitale, recitò il Rosario e volle che lo avvertissero quando l’ambulanza passava davanti a una chiesa. Così avrebbe potuto salutare e onorare Gesù presente nei tabernacoli. Giunto alla clinica, la prima cosa che chiese, fu quella di essere accompagnato in cappella. Dopo una prima visita, i medici capirono che non c’era più niente da fare e che, purtroppo, non era possibile operarlo. Poco dopo, ricevette la visita del nunzio apostolico. Poi, celebrò la messa nella sua stanza e dopo aver recitato il Magnificat, morì serenamente. Era mezzogiorno del 4 gennaio 1940. 
   Il giorno successivo, la sua salma venne trasferita a Palencia. Il 6 gennaio 1940, un gruppo di Missionarie Eucaristiche di Nazaret fece la professione perpetua davanti al corpo del fondatore. Il 7 gennaio, venne inumato nella cappella del Santissimo Sacramento della cattedrale. Sulla tomba fu posta una lapide con l’epitaffio scritto da lui stesso: «Chiedo di essere inumato accanto a un tabernacolo, perché le mie ossa, dopo la morte, come la mia lingua e la mia penna in vita, dicano sempre a chi passa: Qui c’è Gesù! Qui c’è! Non abbandonatelo! Madre Immacolata, san Giovanni, sante Marie, portate la mia anima alla compagnia eterna del Cuore di Gesù in cielo». 
   La morte non cancellò il ricordo di don Manuel, anzi, la sua fama di santità cominciò a diffondersi e ad aumentare sempre più. Già da tempo, molta gente si rivolgeva a lui per chiedere consigli e farsi guidare spiritualmente, perché era convinta di trovarsi di fronte a un santo. Alcuni raccontavano che egli aveva il dono di leggere i segreti delle anime. Già al tempo in cui era sacerdote, ma ancor di più, una volta diventato vescovo, la stima e il rispetto nei suoi confronti, facevano sì che molte persone ricevendo sue lettere le conservassero come una reliquia. Lo stesso avvenne durante l’ultimo periodo della sua malattia, quando era infermo a letto e nella clinica di Madrid. Infatti, quanti lo circondavano presero dei pezzetti del suo abito episcopale e passarono delle medaglie e degli oggetti sul suo corpo, per poi conservarli come reliquie.  
   La scena si ripeté durante l’esposizione della salma nella cappella del palazzo episcopale di Palencia. La sua fama non si era mantenuta viva solo tra le sue figlie, ma si era diffusa tra il popolo di Dio in tutti quei luoghi che avevano visto la presenza del santo. A poco a poco, le visite e i pellegrinaggi alla tomba di don Manuel si moltiplicarono. Infatti, egli era ben conosciuto non solo nelle diocesi che aveva guidato, ma anche in molte regioni della Spagna. Ciò si deve anche alla diffusione dei suoi libri che si trovavano in vendita in diversi Paesi  europei, ma anche in America Latina. 
   Visto il perdurare della fama di santità, nel 1952 venne aperto a Palencia il processo ordinario, che si concluse nel 1960. Vennero interrogati 18 testimoni oculari, dei quali nove Missionarie Eucaristiche di Nazaret, cinque sacerdoti, un medico, un architetto, e due notai. Furono anche aperti quattro processi rogatoriali: a Huelva, dove furono ascoltati 13 testimoni, a Siviglia con 16 testimoni, a Madrid con 6 testimoni e a Málaga con 30 testi. Seguì un processo conoscitivo a Palencia, negli anni 1981-1983, dove deposero 27 persone riguardo l’eventuale mancanza di carità e di prudenza, in quanto si doveva chiarire il suo rapporto con i sacerdoti baschi imprigionati dal generale Franco nella Trappa di San Isidro de Dueña, negli anni 1938-1939. Concluso con esito positivo il procedimento, gli atti vennero inviati a Roma alla Congregazione delle Cause dei Santi, la quale, il 13 luglio 1984, emise il decreto di validità dei processi.  Da allora in poi, l’iter fu più spedito: il 6 aprile 1998, Giovanni Paolo II lo dichiarò venerabile, e il 29 aprile 2001, lo beatificò. 
   Nel 2008 a Madrid, avvenne un presunto miracolo per intercessione di don Manuel. Si trattava della guarigione da «linfoma non-Hodgkin (LNH), plasmoblastico, con restrizione IgA lambda, monoclonale». Il 31 maggio 2010 venne aperta a Madrid l’inchiesta diocesana sul miracolo che si concluse positivamente. Il 29 ottobre 2015, la Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi, riconobbe all’unanimità l’inspiegabilità scientifica della guarigione; il 15 dicembre 2015 la Consulta dei teologi diede voto affermativo, e lo stesso fanno i cardinali e i vescovi il 1° marzo 2016. Il 3 marzo successivo, Papa Francesco firmò il decreto di approvazione del miracolo. Il XXXX Papa Francesco lo canonizzò in piazza San Pietro.


   (Dal libro Come un chicco di grano. Biografia di san Manuel González García. A cura di Nicola Gori, El Granito de Arena 2016, pp. 103-109)

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