lunedì 31 ottobre 2016

Madre, che non ci stanchiamo!

Madre Immacolata! Che non ci stanchiamo!
Madre nostra! Una supplica: Che non ci stanchiamo!
Sì, sebbene lo scoraggiamento per il poco frutto o per l'ingratitudine ci assalga e la debolezza ci ramollisca; sebbene il furore del nemico ci persegua e ci calunni; sebenne ci manchino il denaro e gli aiuti umani; sebbene le nostre opere cadano e dobbiamo incominciare di nuovo... Madre Immacolata! Che non ci stanchiamo!
Fermi, decisi, animati, sempre sorridenti, con gli occhi fissi nel prossimo e nelle sue necessità, per socorrerli, e con gli occhi dell'anima fissi nel Cuore di Gesù che sta nel tabernacolo, occupiamo il nostro posto, quello che Dio ha indicato a ciascuno di noi.
Mai volgere la faccia indietro!
Mai incrociare le braccia!
Mai sterili lamenti!
Mentre ci rimane una goccia di sangue da versare, alcune monete da distribuire, un poco di energia da spendere, una parola da dire, un respiro del nostro cuore, un poco di forza nelle nostre mani e nei nostri piedi, che possano servire per dar gloria a Lui e a Te e per fare un poco di bene ai nostri fratelli...
Madre mia, per l'ultima volta! Morire prima di stancarci!
San Manuel González

domenica 30 ottobre 2016

San Manuel González, modello di fede eucaristica

   Manuel González García nacque a Siviglia e concluse i suoi giorni a Palencia, dove riposa sotto il Tabernacolo della Cattedrale. Come sacerdote (ordinato nel 1901) esercitò il suo ministero a Siviglia e a Huelva. Fu Vescovo di Malaga (consacrato nel 1916) e Palencia.
   Fondò opere sociali in Huelva e costruì un nuovo seminario a Malaga. Nel 1931, a causa dell'incendio della sua residenza, lasciò Malaga e guidò la Diocesi da Gibilterra e Madrid. Nel 1935 Pio XI gli assegnò la sede palentina; lì consumò l'offerta della sua vita a immagine del Buon Pastore, senza perdere la bontà nello sguardo e il sorriso sulle labbra.
   Nel 1902, nella parrocchia di Palomares del Río, ricevette la grazia che avrebbe polarizzato tutta la sua vita. Egli stesso racconta: "Andai direttamente al Tabernacolo. Lì la mia fede vedeva un Gesù silenzioso, tanto paziente, che mi guardava, che mi diceva molto e mi chiedeva di più. Uno sguardo nel quale si rifletteva tutta la tristezza del Vangelo: la tristezza di non avere riparo, il tradimento, la negazione, l'abbandono di tutti".
   A seguito di questa esperienza mistica, il 4 marzo 1910 a Huelva fondò il primo ramo della Famiglia Eucaristica Riparatrice (formata da laici, consacrati e sacerdoti), con lo scopo di dare e cercare una risposta di amore a Cristo Eucaristia. Fondò anche due riviste di azione eucaristica: "El Granito de Arena" (per gli adulti) e "RIE" (per i bambini), e scrisse libri di preghiera, formazione sacerdotale e catechesi.
   "Per i miei passi non voglio che un sentiero, quello che porta al Tabernacolo, e camminando per quel sentiero incontrerò affamati e poveri di molte classi... e farò discendere su di loro la gioia della Vita". Queste parole tracciano il profilo del nuovo santo. Con ragione Papa San Giovanni Paolo II lo ha proposto come "modello di fede eucaristica".

giovedì 20 ottobre 2016

Celebrare la santità di Dio nei suoi figli



   «I santi sono uomini e donne che entrano fino in fondo nel mistero della preghiera. Uomini e donne che lottano con la preghiera, lasciando pregare e lottare in loro lo Spirito Santo; lottano fino alla fine, con tutte le loro forze, e vincono, ma non da soli: il Signore vince in loro e con loro. Anche questi sette testimoni che oggi sono stati canonizzati, hanno combattuto la buona battaglia della fede e dell’amore con la preghiera. Per questo sono rimasti saldi nella fede, con il cuore generoso e fedele. Per il loro esempio e la loro intercessione, Dio conceda anche a noi di essere uomini e donne di preghiera; di gridare giorno e notte a Dio, senza stancarci; di lasciare che lo Spirito Santo preghi in noi, e di pregare sostenendoci a vicenda per rimanere con le braccia alzate, finché vinca la Divina Misericordia» (Papa Francesco, Piazza San Pietro, domenica 16 ottobre).

   Possiamo rivivere questi momenti con un clic:








martedì 18 ottobre 2016

Domenica 16 ottobre - Omelia del Santo Padre Francesco

Santa Messa e canonizzazione dei beati
Salomone Leclercq, Giuseppe Sánchez del Río, Manuel González García, Lodovico Pavoni, Alfonso Maria Fusco, Giuseppe Gabriele del Rosario Brochero, Elisabetta della Santissima Trinità Catez


   All’inizio dell’odierna celebrazione abbiamo rivolto al Signore questa preghiera: «Crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito» (Orazione Colletta).
   Noi, da soli, non siamo in grado di formarci un cuore così, solo Dio può farlo, e perciò lo chiediamo nella preghiera, lo invochiamo da Lui come dono, come sua “creazione”. In questo modo siamo introdotti nel tema della preghiera, che è al centro delle Letture bibliche di questa domenica e che interpella anche noi, qui radunati per la canonizzazione di alcuni nuovi Santi e Sante. Essi hanno raggiunto la meta, hanno avuto un cuore generoso e fedele, grazie alla preghiera: hanno pregato con tutte le forze, hanno lottato, e hanno vinto.
   Pregare, dunque. Come Mosè, il quale è stato soprattutto uomo di Dio, uomo di preghiera. Lo vediamo oggi nell’episodio della battaglia contro Amalek, in piedi sul colle con le braccia alzate; ma ogni tanto, per il peso, le braccia gli cadevano, e in quei momenti il popolo aveva la peggio; allora Aronne e Cur fecero sedere Mosè su una pietra e sostenevano le sue braccia alzate, fino alla vittoria finale.
   Questo è lo stile di vita spirituale che ci chiede la Chiesa: non per vincere la guerra, ma per vincere la pace!
   Nell’episodio di Mosè c’è un messaggio importante: l’impegno della preghiera richiede di sostenerci l’un l’altro. La stanchezza è inevitabile, a volte non ce la facciamo più, ma con il sostegno dei fratelli la nostra preghiera può andare avanti, finché il Signore porti a termine la sua opera.
San Paolo, scrivendo al suo discepolo e collaboratore Timoteo, gli raccomanda di rimanere saldo in quello che ha imparato e in cui crede fermamente (cfr 2 Tm 3,14). Tuttavia anche Timoteo non poteva farcela da solo: non si vince la “battaglia” della perseveranza senza la preghiera. Ma non una preghiera sporadica, altalenante, bensì fatta come Gesù insegna nel Vangelo di oggi: «pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). Questo è il modo di agire cristiano: essere saldi nella preghiera per rimaneresaldi nella fede e nella testimonianza. Ed ecco di nuovo una voce dentro di noi: “Ma Signore, com’è possibile non stancarsi? Siamo esseri umani… anche Mosè si è stancato!...”. E’ vero, ognuno di noi si stanca. Ma non siamo soli, facciamo parte di un Corpo! Siamo membra del Corpo di Cristo, la Chiesa, le cui braccia sono alzate giorno e notte al Cielo grazie alla presenza di Cristo Risorto e del suo Santo Spirito. E solo nella Chiesa e grazie alla preghiera della Chiesa noi possiamo rimanere saldi nella fede e nella testimonianza.
   Abbiamo ascoltato la promessa di Gesù nel Vangelo: Dio farà giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui (cfr Lc18,7). Ecco il mistero della preghiera: gridare, non stancarsi, e, se ti stanchi, chiedere aiuto per tenere le mani alzate. Questa è la preghiera che Gesù ci ha rivelato e ci ha donato nello Spirito Santo. Pregare non è rifugiarsi in un mondo ideale, non è evadere in una falsa quiete egoistica. Al contrario, pregare è lottare, e lasciare che anche lo Spirito Santo preghi in noi. E’ lo Spirito Santo che ci insegna a pregare, che ci guida nella preghiera, che ci fa pregare come figli.
   I santi sono uomini e donne che entrano fino in fondo nel mistero della preghiera. Uomini e donne che lottano con la preghiera, lasciando pregare e lottare in loro lo Spirito Santo; lottano fino alla fine, con tutte le loro forze, e vincono, ma non da soli: il Signore vince in loro e con loro. Anche questi sette testimoni che oggi sono stati canonizzati, hanno combattuto la buona battaglia della fede e dell’amore con la preghiera. Per questo sono rimasti saldi nella fede, con il cuore generoso e fedele.   Per il loro esempio e la loro intercessione, Dio conceda anche a noi di essere uomini e donne di preghiera; di gridare giorno e notte a Dio, senza stancarci; di lasciare che lo Spirito Santo preghi in noi, e di pregare sostenendoci a vicenda per rimanere con le braccia alzate, finché vinca la Divina Misericordia.

Link dell’omelia

Link libretto celebrazione



lunedì 17 ottobre 2016

San Manuel González García, «Vescovo dei Tabernacoli abbandonati»

San Manuel González García Vescovo e fondatore

4 gennaio

Siviglia, 25 febbraio 1877 - Madrid, 4 gennaio 1940

San Manuel González García, nato a Siviglia da umili genitori, per mantenersi agli studi in seminario dovette lavorare come domestico; il 21 settembre 1901 fu ordinato sacerdote. L’anno dopo, davanti a un altare disordinato e sporco in una chiesa a Palomares del Río, provò compassione per Gesù presente nell’Eucaristia, eppure così trascurato: contrariamente ai discepoli nel Getsemani, non fuggì. Non lo fece neppure nel 1915, quando, nominato vescovo di Malaga, visse in prima persona il dramma della guerra civile spagnola. Dovette intervenire la Santa Sede per metterlo al sicuro prima a Madrid, da dove continuò a guidare la sua diocesi, poi a Palencia, di cui fu nominato vescovo nel 1935. Morì cinque anni dopo, il 4 gennaio 1940, a Madrid. La sua eredità continua ancora oggi nella Famiglia Eucaristica Riparatrice. È stato beatificato da san Giovanni Paolo II il 29 aprile 2001. Il 3 marzo 2016 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui gli è stato riconosciuto un secondo miracolo, aprendo la via alla sua canonizzazione, fissata in seguito a domenica 16 ottobre 2016. I suoi resti mortali sono venerati davanti all’altare del Santissimo Sacramento della cattedrale di Palencia, dove volle essere sepolto.

Martirologio Romano: A Madrid in Spagna, beato Emanuele González García, vescovo: pastore egregio secondo il cuore del Signore, promosse con sommo zelo il culto della santissima Eucaristia e fondò la Congregazione delle Suore Missionarie Eucaristiche di Nazaret.

I primi anni e la formazione sacerdotale
Manuel González García nacque a Siviglia il 25 febbraio 1877, quarto dei cinque figli di Martín González Lara, falegname, e di sua moglie Antonia, sarta e casalinga. Nell’infanzia fece parte dei “seises”, gruppo di bambini della cattedrale di Siviglia incaricati di danzare davanti al Santissimo Sacramento nel corso di solenni processioni.
Presto maturò in lui il sogno di diventare sacerdote: è narrato che sostenne di nascosto dai genitori gli esami per entrare nel seminario diocesano, dove fu ammesso nel 1889. Fu esemplare nello studio e nella vita comunitaria, venendo ordinato sacerdote il 21 settembre 1901 dall’arcivescovo di Siviglia, poi cardinale, Marcelo Spinola y Maestre (Beato dal 1987).

L’esperienza di grazia a Palomares del Río
Inizialmente svolse il suo ministero in piccoli villaggi della provincia di Siviglia, come quello di Palomares del Río, dove avvenne l’esperienza che gli cambiò la vita. Carico di speranze e di ottimismo, don Manuel si era diretto verso quella cittadina per una missione popolare, ma i suoi sogni s’infransero di fronte alla dura realtà: la chiesa cadeva a pezzi e l’altare maggiore giaceva nell’incuria.
Così scrisse tempo dopo: «Mi recai direttamente davanti al tabernacolo… e, che tabernacolo, Dio mio! Che sforzi dovettero fare colà la mia fede e il mio coraggio per non tornarmene di corsa a casa mia. Ma, non fuggii. Là, in ginocchio… la mia fede vedeva un Gesù così taciturno, così paziente, così buono, che mi guardava… che mi diceva tante cose e me ne chiedeva di più; uno sguardo, il suo, nel quale si rifletteva tutta la tristezza che emerge dal Vangelo… Lo sguardo di Gesù in questi tabernacoli è uno sguardo che si fissa nell’anima come un chiodo e non si dimentica mai più. Esso divenne per me come il punto di partenza per vedere, capire e prevedere tutto il mio ministero sacerdotale».

L’Opera dei Tabernacoli-Calvari
Dal 1902 al 1905 fu cappellano dell’asilo delle Piccole Suore dei Poveri, finché, a soli 28 anni, non divenne prima vicario economo e poi arciprete della parrocchia di San Pietro di Huelva. Ricoprì questo incarico per 10 anni, apportando notevoli cambiamenti nella parrocchia e nella città di Huelva, divenendo famoso in tutta la Spagna per le sue iniziative apostoliche.
Venerdì 4 marzo 1910 decise di condividere con alcune parrocchiane, durante un ritiro mensile loro dedicato, un’intuizione che aveva avuto: «Permettete a me, che invoco molte volte la sollecitudine della vostra carità a favore dei bambini poveri e di tutti i poveri abbandonati, di invocare oggi la vostra attenzione e la vostra cooperazione in favore del più abbandonato di tutti i poveri: il Santissimo Sacramento. Vi chiedo una elemosina di affetto per Gesù Sacramentato… per amore di Maria Immacolata e per amore di questo Cuore così mal corrisposto, vi chiedo che diventiate le Marie di questi tabernacoli abbandonati». Sorse quindi l’Opera delle Tre Marie e dei Discepoli di San Giovanni, detta anche Opera dei Tabernacoli-Calvari, i cui aderenti s’impegnavano a dare e cercare compagnia a Gesù nell’Eucaristia, specialmente dov’era più abbandonato. Nello stesso anno sorse anche una sezione per bambini, la Riparazione Infantile Eucaristica.
La diffusione dell’Opera in altre diocesi spagnole e in America fu incentivata dalla fondazione di «El Granito de Arena» («Il granello di sabbia»), il suo organo ufficiale. Don Manuel decise quindi di chiedere l’approvazione al Papa: il 28 novembre 1912 venne quindi ricevuto da san Pio X, che lo benedisse e l’incoraggiò.

Il vescovo martire dei Tabernacoli abbandonati
Il suo successore, papa Benedetto XV, lo nominò il 6 dicembre 1915 vescovo titolare di Olimpo e ausiliare della diocesi di Malaga, della quale, nel 1917, divenne amministratore apostolico. Intanto alla sua Opera eucaristica si aggiungeva un nuovo tassello: i Missionari Eucaristici Diocesani, sacerdoti, la cui data di fondazione è il 9 gennaio 1918.
Il 22 aprile 1920 monsignor González venne eletto vescovo titolare della diocesi di Malaga. Appena un anno dopo, aiutato da sua sorella María Antonia, fondò la congregazione delle suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth, che sarà poi approvata il 30 agosto 1960.
Durante il suo episcopato cominciarono le prime avvisaglie della guerra civile spagnola: l’11 maggio 1931 gruppi di rivoluzionari bruciarono quasi tutte le chiese di Malaga, appiccando il fuoco anche al palazzo vescovile. Monsignor González affrontò coraggiosamente gli aggressori e si consegnò loro, ma essi lo lasciarono andare. Dovette rifugiarsi prima presso un sacerdote e poi presso una famiglia amica nella cittadina di Ronda, ma poi, visto che i rivoluzionari ricattavano questa famiglia, la lasciò per rifugiarsi a Gibilterra.
Il 26 dicembre 1931 ritornò a Ronda, ma qualche mese dopo la Santa Sede, temendo per la sua vita, gl’impose di ritirarsi a Madrid, dove rimase fino al 1935, guidando da lì la diocesi di Malaga. Nel frattempo, alle suore si erano affiancate, dal 1933, le Marie Ausiliarie Nazarene (poi Missionarie Eucaristiche Secolari di Nazareth).
Il 5 agosto del 1935 rinunciò al governo della diocesi e fu nominato vescovo di Palencia, nella Vecchia Castiglia, dove continuò la sua opera di pastore e fondatore, amareggiato per le stragi che venivano perpetrate in quegli anni di guerra civile. Promosse ugualmente anche un settore giovanile dell’opera iniziale, la Gioventù Eucaristica Riparatrice, nel 1939.
Lui stesso si definì «il vescovo dei Tabernacoli abbandonati», ma altri, per i patimenti cui andò incontro pur non avendo mai versato direttamente il sangue per la fede, non tardarono a denominarlo «il vescovo martire».
Fecondo scrittore, pubblicò più di 30 lavori letterari, in particolare di carattere eucaristico, sacerdotale e di insegnamento catechistico. Il suo capolavoro, «Lo que puede un cura hoy» («Ciò che può un parroco oggi»), fu adottato per molto tempo dai seminaristi spagnoli e latino-americani.
Morì a Madrid il 4 gennaio 1940 e fu sepolto davanti all’altare del Santissimo Sacramento della cattedrale di Palencia, come da sue disposizioni testamentarie: «Chiedo di essere sepolto vicino ad un tabernacolo, affinché le mie ossa, dopo la mia morte, come la mia lingua e la mia penna durante la vita, stiano sempre dicendo a coloro che passano: Qui sta Gesù! Sta qui! Non lasciatelo abbandonato!».

La causa di beatificazione
La sua causa di beatificazione, a fronte della perdurante fama di santità, è cominciata nella diocesi di Palencia il 2 maggio 1952. Dopo l’introduzione della causa a Roma, vennero istruite due inchieste: una suppletiva, a Malaga (nel 1979) e quella cognizionale a Palencia (1981-1983). Intanto, il 21 novembre 1965, era stato emesso il decreto sugli scritti. La “positio super virtutibus” venne trasmessa a Roma nel 1991.
Il 6 aprile 1998 san Giovanni Paolo II autorizzò la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare il decreto con cui monsignor Manuel González García veniva dichiarato Venerabile.

Il miracolo e la beatificazione
Come miracolo utile per la beatificazione venne preso in esame il caso avvenuto nel 1953 alla diciottenne Sara Ruiz Ortega, di Requena de Campos (Palencia, Spagna), affetta da una peritonite tubercolosa che l’aveva resa paralitica. Il suo parroco, don Francisco Teresa León, le mise una reliquia di monsignor González sotto il cuscino e fece cominciare una novena per chiedere la sua intercessione. La giovane, dopo cinque anni di malattia, si rialzò guarita.
Il processo sull’asserito miracolo venne convalidata il 15 maggio 1998. Gli esperti della commissione medica si pronunciarono favorevolmente circa l’inspiegabilità scientifica dell’evento. Sia i consultori teologi, il 9 aprile 1999, sia i cardinali e vescovi membri della Congregazione vaticana per le Cause dei Santi, il 1° dicembre 1999 confermarono il parere positivo. Infine, il 20 dicembre 1999, san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui la guarigione era dichiarata miracolosa e avvenuta per intercessione del Venerabile Manuel González García.
La sua beatificazione si è quindi svolta in piazza San Pietro a Roma il 29 aprile 2001, congiuntamente a quella di altri quattro candidati agli altari.

Il secondo miracolo e la canonizzazione
Nel novembre 2008 una donna di Madrid, ammalata di cancro alla gola, chiese di poter ricevere gli ultimi Sacramenti. Il sacerdote, che era il già citato don Francisco Teresa León, non poté raggiungerla nell’immediato, ma chiese al marito della donna di darle una reliquia del Beato Manuel González García e d’iniziare una novena per chiederne l’intercessione. Al quinto giorno di novena, il cancro risultò scomparso senza l’aiuto della chemioterapia. La donna guarita morì due anni e mezzo dopo d’infarto, quindi per cause estranee al precedente male.
Il 7 ottobre 2009 venne quindi aperta, nella diocesi di Madrid, l’inchiesta diocesana sull’asserito miracolo, conclusa solennemente il 31 maggio 2010 e convalidata il 21 ottobre 2011. Sia i medici, sia i teologi, sia i cardinali e vescovi membri della Congregazione per le Cause dei Santi sono stati unanimi nel dichiarare il fatto come inspiegabile e miracoloso.
Infine, il 3 marzo 2016, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui era accertato l’intervento divino per intercessione del Beato, aprendo la via alla sua canonizzazione, fissata in seguito a domenica 16 ottobre 2016, insieme a quella di altri sei Beati.

La Famiglia Eucaristica Riparatrice
L’eredità spirituale di san Manuel González García continua nella Famiglia Eucaristica Riparatrice, che comprende le varie realtà da lui istituite nel corso del suo ministero: l’Opera delle Tre Marie e dei Discepoli di San Giovanni; la Riparazione Infantile Eucaristica; i sacerdoti Missionari Eucaristici Diocesani; le suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth; le Missionarie Eucaristiche Secolari di Nazareth; la Gioventù Eucaristica Riparatrice.

Autori: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini (www.santiebeati.it)


domenica 16 ottobre 2016

Preghiera

Per ottenere grazie per intercessione di San Manuel González

   Signore Gesù Cristo, ti rendiamo grazie perché in San Manuel González si è fatto vita il tuo Mistero Eucaristico, attraverso una fede luminosa, una carità intensa e una speranza piena.
   
   Per la sua intercessione effondi in noi il desiderio ardente di eucaristizzare, perché tutta l'umanità accolga la Luce e la Vita che scaturisce dal tuo Cuore e, in unione alla nostra Madre Immacolata, siamo nel mondo testimoni di un amore riparatore.
   
   Tu che vivi e regni con il Padre nell'unità dello Spirito Santo e sei Dio nei secoli dei secoli. Amen.

Chiedere la grazia che si desidera per intercessione di San Manuel González

La prima globalizzazione

Il cardinale Amato parla delle sette canonizzazioni del 16 ottobre
La prima globalizzazione

di NICOLA GORI

   La chiamata alla santità è universale. Non fa differenze di razze, lingue, culture. È la prima e riuscita “globalizzazione” della storia. Ne sono prova i santi di ogni epoca e di ogni Paese che hanno testimoniato con la loro vita la fedeltà a Cristo anche a costo della vita. Ne parla il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, in questa intervista all’Osservatore Romano, alla vigilia delle sette canonizzazioni che Papa Francesco presiede in piazza San Pietro domenica 16 ottobre. 
   Un vescovo, tre sacerdoti, un religioso, una monaca, un laico: nei sette nuovi santi che Papa Francesco canonizza è rappresentato tutto il popolo di Dio. Qual è il filo conduttore di queste canonizzazioni?
   George Bernard Shaw, introducendo il suo testo teatrale su Giovanna d’Arco, riteneva giunto il tempo di studiare la storia fondandosi sui santi. Infatti la Chiesa arricchisce enormemente la storia dell’umanità con la celebrazione di uomini e donne, grandi e piccoli, che non solo sono testimoni credibili del Vangelo, ma sono anche autentici ed efficaci benefattori dell’umanità, da loro ornata con valori che costituiscono il dna dell’uomo, come la bontà, la lealtà, il perdono, l’accoglienza, il sacrificio, la condivisione, la compassione, la misericordia. Il filo conduttore, quindi, che collega i sette nuovi santi è proprio la santità, declinata nei diversi stati di vita cristiana. 
   In che modo la provenienza geografica di queste figure rispecchia l’universalità della Chiesa?
   Si tratta di persone che hanno vissuto la comunione con Cristo immersi profondamente nelle diverse culture del mondo. Teologicamente parlando, si potrebbe dire che i santi sono gli autentici protagonisti di ogni inculturazione della fede. È il Vangelo il dinamico laboratorio della formazione di un nuovo lessico cristiano, che esalta i valori positivi delle culture umane, purificandole da eventuali limiti e insufficienze. I santi riescono a vivere e a esprimere la loro identità evangelica nella loro lingua natale, anche se la loro grammatica e sintassi spirituale restano profondamente evangeliche. Così hanno fatto la nativa americana Kateri Tekakwitha, il daimyò giapponese Justus Takayama Ukon, il missionario indiano Joseph Vaz, il martire sudafricano Benedict Daswa, l’armeno Gregorio di Narek, il giovane filippino Pedro Calungsod. Essi appartengono radicalmente al loro popolo ma, allo stesso tempo, fanno parte integrante di quell’esercito sconfinato di beati di ogni tribù, lingua e nazione, che ora vivono nella città di Dio. Con la canonizzazione di sette santi vissuti in culture e aree geografiche diverse la Chiesa mostra che nessuna cultura umana è estranea all’annuncio di Cristo. Anni fa in una certa zona ecclesiale gli studiosi pensavano che in Asia non vi fosse più posto per Gesù e il suo Vangelo di salvezza. In realtà, come poi la storia ha dimostrato, con gli esempi del martire Devasahaiam Pillai, della clarissa Alfonsa Muttathupadathu e di Teresa di Calcutta, in tutte le culture, anche quelle più antiche e prestigiose, il Vangelo può essere accolto e vissuto in modo esemplare, perché esalta l’autentica umanità presente nelle culture del mondo. 
   Cosa lega la testimonianza dei due martiri, uno francese e l’altro messicano?
   Oggi più che mai è attuale la testimonianza dei martiri uccisi in odio alla fede. Nella canonizzazione di domenica, infatti, ci sono due martiri, uccisi in diverse circostanze storiche, vittime inermi e innocenti di feroci persecuzioni anticattoliche. Il primo, il francese Salomon Leclercq, apparteneva ai Fratelli delle scuole cristiane, educatori impegnati nell’istruzione e nella formazione umana e cristiana della gioventù. Fu martirizzato nel 1792, durante la bufera della rivoluzione francese. Il secondo, José Sánchez del Río, è un adolescente messicano non ancora quindicenne. A tredici anni il ragazzo si unì ai cristeros, che si opponevano al regime antilibertario e anticattolico del tempo. Con coraggio non rinnegò la sua fede in Cristo anche sotto la minaccia della pena di morte.     Pur straziata dal dolore, la mamma, María del Río, lo sostenne fino alla fine. Fu assassinato il 10 febbraio 1928, dopo aver subito supplizi atroci. Con le piante dei piedi spellate fu obbligato a camminare per il paese sulla strada verso il cimitero. Di tanto in tanto gli chiedevano di rinnegare e di dire: «Muoia Cristo Re!». Ma egli rispondeva sempre: «Viva Cristo Re!», «Viva la Virgen de Guadalupe!».
   Ancora oggi i cristiani sono oggetto di discriminazione e di persecuzione. Cosa dire al riguardo? 
   «Sentinella, a che punto è la notte?» grida il profeta Isaia. È passata quella notte? Tanti segnali inquietanti ci avvertono che la notte non è ancora passata e che la strada dell’“umanizzazione dell’uomo” è ancora lunga e intrisa di lacrime. La barbarie è ancora tra noi e, oggi come ieri, si riveste di ipocrisia e di intolleranza. «Le tue sentinelle alzano la voce — aggiunge Isaia — per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno mai». I martiri canonizzati sono due di queste sentinelle, due di quelle voci che non taceranno mai e sempre squarceranno l’inganno, richiamando noi uomini distratti all’esercizio più difficile: quello della coerenza nel momento della prova. Abbiamo ancora bisogno di testimoni come loro. 
   Tra i sacerdoti spicca la figura del cura Brochero, tanto cara a Papa Francesco. Cosa può insegnare ai preti del nostro tempo?
   Il sacerdote argentino Gabriel Brochero o “el Cura gaucho”, come veniva familiarmente chiamato, era un sacerdote colto e santo. Il suo fecondo apostolato a dorso di una mula sgorgava dalla sua esperienza di Dio nutrita con la lettura assidua del Vangelo da lui conosciuto a memoria. Pur avendo concluso l’università di Córdoba con il titolo di maestro in filosofia, il suo linguaggio era semplice, non ricercato, fatto di parole ed espressioni locali, appartenenti al lessico popolare e facilmente comprensibili dai suoi fedeli. Questo linguaggio colloquiale, non accademico, aveva una precisa intenzionalità pastorale: far comprendere il Vangelo anche ai più deboli e incolti tra i suoi fedeli, che apprezzavano la sua originale lingua serrana. Il nostro beato aveva un vero dono delle lingue. La sua predicazione toccava i cuori, convertendo i peccatori più incalliti. Se a prima vista il Brochero poteva apparire privo di finezza, conoscendolo e vedendo la perfetta coerenza della sua vita con il Vangelo, si scopriva la sua nobiltà umana e la sua ricchezza spirituale. Come la recente beata argentina Mama Antula, anche il cura Brochero, imbevuto della spiritualità di sant’Ignazio di Loyola, diventò un araldo della diffusione del regno di Dio sotto la bandiera di Cristo. Lo stile dell’evangelizzazione brocheriana è caratterizzato dagli esercizi spirituali, bagno dell’anima, scuola delle virtù e morte dei vizi. Era convinto dell’efficacia degli esercizi spirituali per comunicare la luce della verità di Dio alle intelligenze e per far trionfare la grazia nei cuori più ribelli. Per questo organizzava molteplici turni, frequentati da fedeli sempre più numerosi. Predicava, confessava, dirigeva, assisteva gli esercitanti con grande premura. 
   C’è un aspetto sociale della sua santità?
   Anche il cura Brochero è un benefattore dell’umanità. La sua carità pastorale, infatti, mirava alla promozione integrale dei fedeli. Per questo si premurava di edificare scuole per l’istruzione dei giovani, di aprire strade, di scavare canali di irrigazione. Fece anche realizzare il tratto locale della ferrovia e costruire l’edificio della posta. Il benessere sociale per lui era importante come il benessere spirituale. Si interessava della giusta paga dei lavoratori, della richiesta di grazia per alcuni prigionieri. Per promuovere queste sue iniziative, si rivolgeva ai potenti, ai governatori e ai ricchi, mostrando loro che le opere sociali da lui volute avevano la finalità di rendere sempre più degna e più umana la vita dei cittadini. Aveva poi la bontà di ringraziare i suoi benefattori con lettere, con visite personali, con alcuni prodotti della zona, con parole sempre piene di gratitudine e di riconoscenza. A tal fine, ma anche per stimolare la generosità, pubblicava regolarmente sui giornali i nomi e i donativi ricevuti. I fedeli non restavano insensibili di fronte alla concretezza della sua carità. Un giorno ricevette in dono un’artistica medaglietta, con la scritta, da una parte, “Vangelo, scuole, strade”, e, dall’altra, “le signore di sant’Alberto al cura Brochero”. Fu talmente commosso e grato per questo gesto semplice, che legò la medaglietta alla catena del suo orologio, portandola con sé fino alla morte. 
   Tra i fondatori risalta l’apostolato eucaristico di Manuel Gonzalez García. Qual è la sua eredità?
   L’amore all’Eucaristia è il lascito più prezioso del suo apostolato. Il sivigliano Manuel González García è, infatti, chiamato il vescovo dei tabernacoli abbandonati. Era innamorato dell’Eucaristia e la sua persona, in continua adorazione del Signore, irradiava una energia spirituale che attirava e convertiva al bene. La sua esistenza fu piena di esperienze eucaristiche. Da piccolo Manuel faceva parte del celebre gruppo di ragazzi sivigliani, che per antica tradizione cantano e ballano davanti al Santissimo Sacramento. Sono chiamati “los seises”, perché sono sei piccoli cantori della cattedrale. Manuel era uno di questi angeli eucaristici. Una settimana dopo l’ordinazione sacerdotale don Manuel celebrò la messa nella cappella dei salesiani e da quel giorno, in segno di rispetto per l’Eucaristia, smise per sempre di fumare. Iniziò il ministero a Palomares del Rio. Qui, trovandosi in una chiesetta con un tabernacolo deserto, ebbe l’ispirazione di divenire l’apostolo dei tabernacoli abbandonati. L’Eucaristia diventò il motore del suo apostolato e le sue opere ebbero tutte una impronta eucaristica. Passava lunghe ore in adorazione del Santissimo Sacramento. Fu il promotore di varie iniziative eucaristiche, fra le quali la più importante fu la fondazione della congregazione delle missionarie Eucaristiche di Nazaret. Questo carisma eucaristico aveva una sua espansione concreta nella sua carità verso i bisognosi, soprattutto poveri e infermi. Visse con grande coerenza il suo ministero episcopale, soffrendo, in silenzio e in completa adesione ai disegni di Dio, incomprensioni e contrasti e realizzando quei valori che la grazia aveva fatto maturare nel suo cuore.
   Quale aspetto di Elisabetta della Trinità è ancora oggi attuale?
   Elisabetta della Trinità è una mistica molto nota anche al mondo accademico, attraverso la sua opera di alto contenuto spirituale. Le sue meditazioni del mistero di Dio Trinità, cuore del cristianesimo, sono di perenne attualità. Perciò anche Elisabetta della Trinità ha tanto da dire alle donne e agli uomini del nostro tempo, comunicando loro la realtà della presenza trinitaria nei nostri cuori. L’uomo, soprattutto il battezzato, è una realtà trinitaria, come figlio di Dio Padre, fratello di Cristo e tabernacolo dello Spirito Santo. Questo fu l’argomento della sua quotidiana meditazione e della sua eccezionale esperienza spirituale. 
   Gli altri due fondatori hanno dato vita a famiglie religiose. Qual è la caratteristica del loro carisma?
   L’esperienza della vita religiosa si innesta proprio in questa ricerca dell’essenziale. I due santi fondatori di famiglie religiose si distinguono, oltre che per la loro intensa spiritualità, anche per essersi messi in ascolto dei “segni dei tempi”. Sia Lodovico Pavoni sia Alfonso Maria Fusco furono instancabili apostoli della difesa e promozione dei bambini e dei giovani, soprattutto poveri ed emarginati. L’uno visse e operò nell’Italia settentrionale, l’altro nel meridione. Qualunque sia il contesto nel quale viviamo, la nostra vita cristiana si ispiri all’esperienza di questi santi, che liberamente aderirono a Cristo e condivisero pienamente i desideri e le scelte del suo cuore. Questi nuovi sette santi costituiscono sette esempi convincenti di quella umanità nuova voluta da Dio Trinità, annunciata da Cristo e formata dalla Chiesa, la madre santa del popolo santo di Dio.

(L'Osservatore Romano, 16 ottobre 2016, p. 7)

Cardinale Angelo Amato

venerdì 14 ottobre 2016

A tavola con tremila poveri

Il vescovo spagnolo Manuel González García 
A tavola con tremila poveri

di JAVIER CARNERERO PEÑALVER, O.SS.T.*

   «Eucaristizzare»: il neologismo coniato da Manuel González García riassume il metodo pastorale con cui operò nella Spagna d’inizio Novecento, fondando tra l’altro l’Unione Eucaristica Riparatrice e della congregazione delle Missionarie Eucaristiche di Nazareth. 
   Nato a Siviglia nel 1877, Manuel da fanciullo, prima ancora del suo ingresso in seminario a dodici anni, fece parte della schola cantorum della cattedrale; da seminarista si dedicò ai servizi più umili per pagarsi gli studi, che raggiunsero il culmine con il dottorato in Diritto canonico dopo un brillantissimo percorso accademico. Ordinato sacerdote, fu cappellano, parroco, decano e vescovo, prima ausiliare e poi residenziale di Málaga e, quindi, in seguito alle dolorose vicende della persecuzione religiosa in Spagna, fu trasferito a Palencia. Morì il 4 gennaio 1940, dopo appena cinque anni. 
   Una storia che non sembra avere note straordinarie; simile a quella di molti altri. Una storia, però, che ebbe una svolta cruciale quando, appena ordinato sacerdote, Manuel fu inviato in missione in un piccolo villaggio dell’Andalusia, e si trovò di fronte alle grandi sfide del suo tempo nel campo pastorale: indifferentismo religioso, povertà umana e spirituale. In quel contesto egli fece un’esperienza che ricorda quella di san Paolo, sia per il metodo pedagogico del Signore, sia per i frutti che portò. Fu Gesù che si mostrò al giovane sacerdote, ultimo tra gli ultimi, nel logorato tabernacolo della chiesa parrocchiale di Palomares del Río. 
   Don Manuel era andato con la certezza di una fruttuosa missione che vincesse le rimostranze di quegli uomini. Di certo, la salvezza di quei contadini, lasciati a se stessi e dimenticati da tutti era nel suo cuore. Ma, davanti al tabernacolo, sentì Gesù che gli fece capire come, in quel luogo, Lui fosse il più abbandonato di tutti. E così don Manuel, che era andato a “vincere” quegli uomini, venne vinto da Dio. Come nel caso dell’apostolo delle genti, questo fatto lo sconvolse da cima a fondo; aveva raggiunto la grandissima verità: soltanto chi trova Dio può portarlo agli uomini. Soltanto vedendo Cristo nella sua Chiesa, uno può veramente prendersi carico di quel popolo di Dio, tante volte perseguitato. E Cristo era là, nel tabernacolo, vicino a tutti, bisognava soltanto avere il coraggio di andare a trovarlo. 
   Il suo metodo pastorale cominciò di là, riscoprire Cristo nell’Eucaristia, come centro della nostra vita, della nostra comunità, della nostra attività apostolica. “Eucaristizzare” fu il termine coniato con il proposito di coinvolgere tutti i ceti ecclesiali e sociali in questa grande opera. Come in san Paolo, la penna e la predicazione furono le sue armi più incisive. Fondò la rivista «Il granello di sabbia», e diede alla stampa anche innumerevoli titoli pastorali e catechetici. Tra questi, Quello che può fare un prete, oggi, divenne lettura usuale in tutti i seminari del tempo. Molti pastori, formati nel secolo scorso in Spagna, alcuni dei quali eminenti, come i venerabili Rafael García o Luis Zambrano, tanti martiri nella persecuzione, hanno attinto a questa sorgente.
   Ed ecco il miracolo: le parrocchie affidate alle sue cure rifiorivano, i gruppi laicali che organizzava si coordinavano come un vero e proprio movimento apostolico che coinvolgeva una parrocchia dopo l’altra, sia in Spagna che in America latina. Volendo cominciare l’opera, che in seguito divenne l’Unione eucaristica riparatrice, si rivolse così a un gruppo di donne di Huelva: «Permettetemi, a me che invoco molte volte la sollecitudine della vostra carità a favore dei bambini poveri e di tutti i poveri abbandonati, di invocare oggi la vostra attenzione e la vostra cooperazione in favore del più abbandonato di tutti i poveri: il Santissimo Sacramento. Vi chiedo una elemosina di affetto per Gesù Sacramentato... per amore di Maria Immacolata e per amore di questo Cuore così mal corrisposto, vi chiedo che diventiate le Marie di questi tabernacoli abbandonati».
   Era la nascita delle “Marie dei tabernacoli abbandonati”: in seguito si unirono gli uomini, i bambini, i sacerdoti, le religiose e l’istituto secolare. A Huelva, dove fu prima parroco e dopo decano, Manuel González García fondò un gruppo di scuole intitolate al Sacro Cuore, ancora oggi funzionanti. 
   Arrivato a Málaga, la sua attività si prodigò in tutti gli indirizzi pastorali. Un gesto può simboleggiare il suo operato: quando venne nominato vescovo organizzò un pranzo nel quale, invece di invitare i potenti della società, sedettero a tavola tremila bambini poveri. A servirli c’erano le autorità civili ed ecclesiastiche e il vescovo il quale, con il suo sorriso bonario, riscaldava il suo fare pastorale.
   Il seminario fu un altro punto nodale delle sue scelte pastorali. Ne costruì uno nuovo, e ne volle rinnovata anche la radice spirituale: «Un seminario sostanzialmente eucaristico, nel quale l’Eucaristia fosse: nell’ordine pedagogico, lo stimolo più efficace; nello scientifico, il primo maestro e la prima materia d’insegnamento; nel disciplinare, l’ispettore più vigilante; nell’ascetico, il modello più vivo; nell’economico, una grande provvidenza; nell’architettonico, la pietra d’angolo».
   Se nella formazione delle nuove comunità e dei nuovi pastori, Manuel González García continuò la tradizione di san Paolo, l’accettazione della croce venne a segnare senza dubbi il parallelo che abbiamo tratteggiato tra i due apostoli. Come san Paolo, don Manuel dovette affrontare la persecuzione. Málaga fu duramente segnata dai combattimenti dei movimenti anticlericali. Nel 1931 il palazzo episcopale fu dato alle fiamme, incredibilmente tutti riuscirono a uscire indenni da una porta secondaria. Il vescovo, coraggioso davanti ai violenti, fu costretto ad allontanarsi per timore che le rappresaglie cadessero su chi li accoglieva. Per sei mesi venne ospitato dal vescovo di Gibilterra. Dopo aver tentato inutilmente il ritorno a Málaga, González García diresse la diocesi da Ronda e da Madrid, finché la Santa Sede gli chiese di rinunciare e assumere un’altra sede meno pericolosa. 
   Furono per lui anni di grandissimo dolore, con un Paese letteralmente in fiamme e dove i sacrilegi si contavano a migliaia. Dettando le sue ultime volontà, scrisse: «Chiedo di essere sepolto vicino ad un tabernacolo, affinché le mie ossa, dopo la mia morte, come la mia lingua e la mia penna durante la vita, stiano sempre dicendo a coloro che passano: Qui sta Gesù! Sta qui! Non lasciatelo abbandonato!».
*Postulatore

(L'Osservatore Romano, 14 ottobre 2016, p. 5)



lunedì 10 ottobre 2016

Apostolato per mezzo dell'Eucaristia

"Orientare la nostra attività affinché
il Vangelo vivo sia conosciuto,
il Pane vivo sia mangiato,
la Manna nascosta sia gustata,
il Dio del Tabernacolo sia riverito,
la Providenza che in esso vive sia tenuta in conto,
e il Modello vivo che si mostra in esso sia copiato"

Beato Manuel González


martedì 4 ottobre 2016

Dalle lettere di Don Manuel González

    "Una grande consolazione ha sperimentato il mio cuore nel vedere come ha voluto il Cuore di Gesù che l'Opera, modestamente iniziata nel Tabernacolo della mia parrocchia di San Pietro a Huelva (Spagna), si potesse diffondere nella capitale dell'urbe cattolico, nella santa e cara Roma, così vicina al Vicario di Cristo" (21 maggio 1925)


    "Con grande piacere farò conoscere il fatto consolatore dell'istituzione canonica a Roma della nostra amata Opera, notizia che sicuramente sarà accolta con giubilo straordinario da tutti quelli che appartengono ad essa in tutto l'orbe cattolico.
    Le nuove Marie e i Discepoli di San Giovanni li benedico, spero molto bene di essi perché vivono vicino al Vicario di Cristo sulla terra. Ho un grande desiderio di conoscere tutti gli eventi dell'inaugurazione e marcia dell'Opera nella Diocesi di Roma: le Marie e i Discepoli di San Giovanni devono essere modelli dei membri dell'Opera di tutto il mondo, perché vivono vicino alla fonte della verità e in una terra irrigata col sangue di tanti martiri" (14 settembre 1925)