sabato 2 dicembre 2017

Situazione sociale e religiosa (Vita di San Manuel González, 10)

   Dal punto di vista religioso, l’epoca in cui visse Manuel González García si caratterizzò per forti tensioni e contraddizioni. Al momento della stesura della Costituzione del 1876, i conservatori vedevano di fondamentale importanza valorizzare la Spagna dal punto di vista religioso, considerando i valori cattolici della maggioranza della popolazione. Al contrario, le classi politiche più progressiste cercavano di far riconoscere nel Paese il diritto alla libertà religiosa, quale segno di civiltà. Per conciliare queste posizioni, venne trovato un compromesso: la fede cattolica venne dichiarata religione di Stato, ma venne permessa in ambito privato la pratica di altre religioni. Oltre alla concessione della libertà di culto, nonostante determinate restrizioni, vennero eliminati i vincoli medievali che ancora sussistevano tra Chiesa cattolica e popolazione rurale. La parte più liberale della classe politica si trasformò così in un elemento contrario e ostile alla Chiesa. L’intento era di allontanare dall’influenza della Chiesa le masse di operai che avevano abbandonato la terra per cercare lavoro nelle città. Ciò veniva perseguito attraverso campagne di denigrazione nei confronti della religione cattolica, che veniva presentata come nemica del popolo e della sua felicità. Con il termine della reggenza di Maria Cristina d’Asburgo-Tenschen, il 17 aprile 1902, si inaugurava una violenta propaganda antireligiosa. Il clero e soprattutto i gesuiti venivano insultati pubblicamente e la paura serpeggiava nella comunità ecclesiale. Nel Concordato tra Stato e Chiesa era stabilito che l’insegnamento della dottrina cattolica fosse inserito nei programmi ufficiali statali. Con l’avvento delle giunta rivoluzionaria le cose cambiarono. Le Cortes decretarono la libertà di insegnamento basandosi sull’ideologia del krausismo, cioè la difesa della tolleranza accademica e della libertà di cattedra davanti al dogmatismo. Alla Chiesa non restava che agire in privato o in istituzioni non pubbliche. Vennero così create le Accademie della gioventù, quella di San Luigi, gli Studi dell’associazione dei cattolici di Spagna. Sorsero così numerose opere di apostolato e di educazione, gestite da congregazioni religiose o da sacerdoti volenterosi. Si calcola che alla fine del XIX secolo in Spagna fossero circa 40.000 suore, sparse in 2.656 comunità, delle quali 910 si dedicavano all’educazione. Vi erano anche 10.630 religiosi, riuniti in 597 comunità, 294 delle quali dedite all’insegnamento. Anche le missioni popolari promosse dai gesuiti e da altri ordini erano impegnavate in ambito educativo. Un grande impulso all’azione in campo sociale venne dalla promulgazione dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Grazie alla sollecitazione del Pontefice, i cattolici si occuparono sempre più delle condizioni di lavoro della classe operaia. Si deve all’iniziativa di vari vescovi e sacerdoti l’istituzione di Circoli di operai cattolici, del Banco popolare Leone XIII e della Federazione nazionale di operai. Nel 1909 si contavano 370 casse rurali di matrice cattolica.  
   In Andalusia, terra natale del santo, sorsero varie opere sociali in ambito educativo e caritativo per andare incontro ai bisogni delle masse dei lavoratori che subivano ingiustizie, soprusi e discriminazioni. Le città aumentavano continuamente di popolazione visto il continuo afflusso di contadini alla ricerca di impiego. Si creò il cosiddetto «ensanche», come veniva chiamato all’epoca il sistema di alloggi per tanta gente immigrata dalle campagne. Questo fenomeno non regolato dette vita a veri e propri tuguri e al «chabolismo», alloggiamenti provvisori vicini al luogo di lavoro. Le città cambiarono di aspetto e così le classi sociali: aumentarono i giovani, crebbe la borghesia, si ingrossarono le fila di proletari, favorendo le tensioni tra nuovi arrivati e cittadini. Ciò creò una massa di persone senza lavoro, senza alloggio, senza mezzi di sussistenza che si concentrava nelle grandi città della Spagna e in particolare dell’Andalusia. Si viveva in condizioni igieniche e ambientali disastrose, dove le epidemie erano all’ordine del giorno e la promiscuità regnava sovrana. I salari erano irrisori rispetto al minimo per vivere dignitosamente. Si lavorava anche sedici ore in condizioni terribili, sottoposti a incidenti e senza nessuna tutela per le donne e i bambini. Nonostante la legge del luglio 1873 proibisse il lavoro minorile, i bambini venivano regolarmente impiegati anche nei lavori più duri e pericolosi. Al lato di questa massa proletaria, la città pullulava di altrettanti sciagurati, quali poveri, mendicanti, invalidi, ladri, prostitute, saltimbanchi. Tutta gente che non aveva nemmeno un tetto dove dormire e che spesso tirava a campare giorno per giorno, rischiando anche di morire di fame o di malattia. Esistevano strutture caritative e assistenziali per aiutare questi disperati, ma la loro capacità era insufficiente. Anche sul piano dell’educazione, le scuole potevano occuparsi solo del 50% della popolazione in età scolare. Infatti, nel 1908 le scuole in Spagna erano 30.075, insufficienti a sradicare l’analfabetismo. 
   Un altro elemento che caratterizzò l’Andalusia di quel tempo, fu la diffusione delle comunità protestanti, a seguito della Costituzione del 1876 che sanciva la tolleranza religiosa. I predicatori partivano dal dominio inglese di Gibilterra e andavano tra le classi più povere di lavoratori delle città andaluse. Costruivano cappelle e aprivano scuole gratuite per istruire quella massa di gente che a poco a poco abbracciava il protestantesimo. In questo modo, cercavano di colmare il vuoto statale nell’educazione primaria dell’infanzia. Nel 1873 venne fondato il Seminario teologico di Puerto de Santa María e i predicatori evangelici cominciarono una propaganda a base di libri, riviste e foglietti. Con il regno di Alfonso XII la comunità protestante dovette rallentare la sua opera di diffusione e concentrarsi sulla classe proletaria, fino al 1886, quando venne sancita la libertà di religione. Per contrastare l’influsso protestante e quello laicista, che cercavano di farsi strada tra i meno abbienti, da parte cattolica si iniziò un’opera capillare di apostolato e di alfabetizzazione dei figli dei lavoratori con l’apertura di nuove scuole. D’altronde, l’anticlericalismo prendeva sempre più campo e alimentava il rancore contro la Chiesa, incolpata di essere la causa del ritardo del progresso in Spagna, dell’analfabetizzazione e dell’arretratezza culturale del popolo. 
   Le rivolte anarchiche e le tensioni sociali che sfociarono in moti rivoluzionari ebbero come obiettivo anche quello di ridurre l’influsso della Chiesa e di allontanarla dalla popolazione. Nel 1909, durante la settimana rossa di Barcellona, vennero saccheggiate e incendiate più di cinquanta chiese e case religiose. Tuttavia, nonostante gli attacchi, la Chiesa mantenne il suo prestigio nella società spagnola. Nel 1920 su una popolazione di 21 milioni di abitanti vi erano 34.420 sacerdoti, uno ogni 613 persone. Come sempre accade, si colpiva la Chiesa per abbattere il potere civile che la sosteneva. Tuttavia, la comunità ecclesiale mai si dimenticò dei poveri, dei disperati, di quelli a cui mancava la speranza. 
   Con la proclamazione della seconda repubblica spagnola, il 14 aprile 1931, la situazione nei confronti della Chiesa peggiorò ovunque, perché i partiti al potere erano pervasi da anticlericalismo e propugnavano la laicità assoluta, considerando normale la persecuzione religiosa pur di raggiungere l’obiettivo. L’ideologia si trasformò in pratica e l’11 maggio 1931 ebbe luogo l’incendio di più di un centinaio di chiese e conventi a Madrid, Siviglia, Cordova, Cadice, Murcia, Saragozza, Valenza e Málaga, senza che il governo si opponesse, o consegnasse alla giustizia i responsabili. A quel tempo vescovo di Málaga era il nostro santo. La stessa situazione don Manuel trovò a Palencia, anche se molto meno drammatica che in Andalusia. 


   (Dal libro Come un chicco di grano. Biografia di san Manuel González García. A cura di Nicola Gori, El Granito de Arena 2016, pp. 118-122)

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