mercoledì 29 novembre 2017

In esilio (Vita di San Manuel González, 7)

   Purtroppo, la situazione politica e sociale si faceva sempre più ostile alla Chiesa cattolica. Il 14 aprile 1931 venne proclamata la repubblica e quelle che fino ad allora erano state solo minacce e calunnie si trasformarono in azioni di odio concrete.  Già dai giorni precedenti l’avvento della repubblica, don Manuel aveva chiesto ai suoi collaboratori di pregare molto, perché la situazione a Málaga stava degenerando. Cercò di mettere in salvo gli oggetti sacri più preziosi dell’episcopio e incoraggiò i suoi sacerdoti ad affrontare la prova che li attendeva. Era ormai sicuro che qualcosa sarebbe successo. Nella notte dell’11 maggio i timori si rivelarono fondati. La folla inferocita prese d’assalto chiese e conventi, dandoli alle fiamme. In breve tempo, si diresse verso il palazzo episcopale e lo circondò cercando di sfondarne le porte. Don Manuel con sua sorella, i suoi collaboratori e le suore della Croce, che aveva chiamato da Huelva per aiutarlo e accudirlo nelle faccende quotidiane, iniziarono a recitare il Rosario. Momenti di grande paura e di concitazione per quanti erano rimasti nel palazzo. Il pericolo di venire trucidati era concreto. 
   Il santo, tuttavia, non perse la serenità. Impartì  l’assoluzione generale a tutti i presenti, li comunicò, e per non lasciare il Santissimo Sacramento in balia dei facinorosi, inghiottì tutte le ostie consacrate rimaste. Si rivolse poi a quanti lo circondavano e chiese loro di offrire quei momenti di sofferenza per l’avvento del regno del Cuore di Gesù in Spagna e nella diocesi di Málaga. Attraverso una porta segreta si rifugiarono nell’attiguo collegio dei religiosi maristi. Questo espediente però non fermò la folla che irruppe sia nell’episcopio, sia nel collegio al grido di «muoia, muoia». Cercavano lui, il responsabile, secondo loro, di chissà quali delitti. L’unica sua colpa era di essere il pastore di quella Chiesa locale. Agli occhi dei sovversivi rappresentava il nemico da abbattere. 
   Don Manuel con grande coraggio si presentò davanti a quei facinorosi e chiese cosa volessero da lui. Le loro intenzioni non era delle più amichevoli, qualcuno aveva portato addirittura una corda per impiccarlo.  Insulti e offese facevano da cornice a quella scena così drammatica, ma il santo cominciò a camminare verso l’uscita del collegio e si fece strada in mezzo alla folla urlante. Lo seguivano le suore della Croce e i suoi collaboratori, che rimasero inorriditi dal vedere il palazzo vescovile completamente dato alle fiamme. Passò tra le gente che lo strattonava da ogni parte e qualcuno cercò anche di togliergli lo zucchetto. Un uomo si mise davanti a lui e gli puntò perfino la pistola, dicendogli che non avrebbe sparato solo per timore di uccidere sua sorella. Superato il momento critico e nonostante il pericolo, don Manuel riuscì a raggiungere la casa di don Antonio Rodríguez Ferrol. Appena entrato in casa, la prima cosa che fece fu quella di invitare tutti a recitare il Rosario. A chi gli diceva impaurito che tutto era perduto, rispondeva di guardare alla grazia di Dio che nessuno avrebbe potuto sottrarre loro. Anzi, in quella circostanza, erano ancor di più simili gli apostoli, senza mezzi, ma pieni di fiducia in Dio. Mancava solo il martirio per suggellare l’imitazione degli apostoli. Poco mancò che non si realizzasse. Infatti, la tregua in quella casa durò molto poco. 
   All’alba si presentò un capo dei repubblicani che impose al santo di andarsene da lì. Don Manuel rispose di non aver commesso nessun crimine e che il suo unico desiderio era di rimanere a Málaga per guidare la diocesi a lui affidata. Temeva però per l’incolumità dei padroni di casa e stava cercando una via d’uscita alla situazione. Nel frattempo, giunsero i signori di Heredia, suoi amici, che per salvarlo dal linciaggio lo fecero salire sull’auto e lo condussero alla loro fattoria «La Vizcaina». Don Manuel sperimentò un attimo di tregua e poté celebrare la messa. Ma la pace sarebbe durata molto poco, infatti, il 13 maggio, i contadini inferociti circondarono l’abitazione e dettero un’ora di tempo a don Manuel per andarsene. Se non avesse rispettato l’ultimatum avrebbero incendiato tutto. Possiamo immaginare la sofferenza del santo che vedeva la sua presenza recare danno agli amici che l’ospitavano. Decise così di abbandonare quell’alloggio e, alle cinque del pomeriggio, si diresse verso una famiglia che abitava in campagna. Purtroppo, i padroni di quella fattoria non vollero si fermasse per paura di rappresaglie. Occorreva trovare una rapida soluzione perché i sobillatori non si sarebbero certamente arresi al pensiero che il vescovo rimanesse nel territorio diocesano, in quanto temevano la sua presenza. Allora, qualcuno pensò di far rifugiare il vescovo a Gibilterra, in territorio britannico, dove nessuno avrebbe potuto toccarlo. I marchesi di Larios si impegnarono a cercargli un albergo, mentre veniva preparato il passaporto e avvisato il vescovo di Gibilterra. A mezzanotte, don Manuel riuscì a passare la frontiera, dove lo attendeva monsignor Richard Joseph Fitzgerald (1881-1956), al quale consegnò l’ostia consacrata che conservava in una teca. Per il momento, era salvo al di là del confine spagnolo, ma il suo cuore era rimasto a Málaga. Il giorno successivo, poté celebrare la messa nella cattedrale. Venne poi ospitato nella casa di riposo «Gavino» della città.  
   Si trattava ora di gestire da lontano il governo pastorale della diocesi, cosa non facile. Don Manuel sapeva che la situazione non si sarebbe normalizzata velocemente, così incaricò il vicario generale di provvedervi fino al suo ritorno. Quel periodo fu fonte di grande sofferenza e sacrificio, in quanto era costretto a rimanere separato dai suoi sacerdoti e dal suo gregge. Purtroppo, il clima politico e sociale gli impediva di rientrare, perché sia il governo, sia le autorità locali non gradivano la sua presenza a Málaga. Anche la nunziatura lo invitò ad avere pazienza e a rimanere a Gibilterra ancora un po’. Il santo obbedì anche se a fatica, perché sentiva fortemente lo zelo per il gregge affidato, e questa sua impossibilità a occuparsene lo faceva tribolare enormemente. Tuttavia, pur non temendo per la sua vita, non voleva mettere a repentaglio quella degli altri che lo circondavano. Il suo esilio forzato sulla rocca di Gibilterra durò sette mesi, nei quali riuscì anche a ordinare sette sacerdoti del suo seminario che si erano spostati sul suolo inglese appositamente per ricevere il sacerdozio dalle mani del loro vescovo.
   Dopo varie trattative diplomatiche, nel dicembre 1931, gli venne prospettata la possibilità di trasferirsi a Ronda, cittadina che si trovava in diocesi di Málaga. Il 14 del mese, scrisse al nunzio apostolico Federico Tedeschini (18731959) per esprimergli il suo dolore e la sua fedeltà alla Chiesa. Il 26 seguente, passò a Ronda, dove rimase sette mesi, controllato continuamente dalla polizia. Venne ospitato nella palazzina che apparteneva all’episcopio, e che era unita al collegio dei salesiani. In quella cittadina, riuscì a insegnare il catechismo e a tenere delle conferenze. Molto discretamente organizzò anche un’Accademia di catechisti. 
   Il 29 luglio 1932 compì un viaggio a Madrid per incontrare il nunzio apostolico, il quale, al contrario di quello che sperava, lo invitò a non rientrare a Málaga, ma a continuare a guidare la diocesi da Ronda. Evidentemente, i tempi non erano ancora maturi e la sua presenza sarebbe stata motivo di nuovi conflitti. Era un vero pastore e quindi la sua testimonianza disturbava quanti volevano ridurre la Chiesa ai margini della società, i quali non avrebbero esitato a ridurlo al silenzio. Tuttavia, il santo non si arrese e mesi dopo visitò di nuovo il nunzio apostolico a San Sebastián, con la speranza che potesse intervenire presso le autorità locali per permettere il suo rientro. Il 4 ottobre partì per Roma, dove venne ricevuto in udienza  da Pio XI. Rientrato in Spagna, si rese conto che anche a Ronda la situazione era sempre più delicata. Non volendo recar problemi a chi l’ospitava, si trasferì a Madrid, accolto dalla famiglia Calonge y Page, che gli offrì un appartamento indipendente. Per il momento doveva rimanere nella capitale, perché il nunzio apostolico gli riconfermò l’impossibilità di tornare a Málaga. La sua situazione era drammatica: era solo,  lontano dalla sua diocesi, costretto a vivere di elemosina, perché non aveva nessuna rendita, eccetto i proventi dalla vendita dei suoi libri che però non gli permettevano di vivere dignitosamente. Fortunatamente, alcuni suoi amici ed estimatori gli inviavano regolarmente delle offerte. Poco tempo dopo, ricevette una lettera del cardinale Eugenio Pacelli (1876-1958), segretario di Stato, che gli spiegò i motivi per i quali non poteva rientrare in diocesi: le minacce nei suoi confronti e l’impossibilità delle autorità locali di poter garantire la sua sicurezza. Lo invitò pertanto a rimanere a Madrid nonostante i disagi. Che non erano pochi! 
   In quel periodo, un’altra prova si abbatté su di lui: la situazione delle Marie in Madrid, che erano state affidate alle cure del beato padre Rubio, il quale era morto nel 1929. Aveva preso la loro direzione il gesuita padre Cuadrado, il quale cercava di allontanarle dal santo, perché non voleva interferisse nel governo. Tuttavia, le Marie non si fecero troppo condizionare e il 4 marzo 1935, poterono celebrare l’anniversario della loro fondazione con don Manuel, il quale firmò l’atto di erezione della fraternità della Marie nazarene. 
   Intanto, il nunzio apostolico aveva chiaro che ormai il santo non sarebbe potuto più rientrare a Málaga, così fece pressioni, perché rinunciasse al governo della diocesi e ne scegliesse un’altra, fosse stata anche sede arcivescovile. Trovò però l’opposizione di don Manuel che voleva tornare nella sua città. Non era facile per lui distaccarsi dalla gente e da quell’ambiente dove aveva realizzato tante opere. Il 31 marzo 1935, il nunzio apostolico tornò nuovamente alla carica e gli scrisse per ricordagli che durante la visita a Roma dell’aprile 1934, in occasione della canonizzazione di san Giovanni Bosco, incontrando Pio XI aveva dato al Papa la sua disponibilità a guidare un’altra diocesi. La situazione che si era creata ormai era irreversibile. Il 4 luglio successivo, monsignor Tedeschini lo informò che per volontà del Pontefice era definitivamente sollevato dal governo pastorale della diocesi di Málaga e che gli lasciavano la possibilità di indicare un’alternativa a sua scelta. Il giorno seguente, dopo aver riflettuto e pregato, domandò al nunzio apostolico la possibilità di recarsi a Palencia, che considerava una diocesi piccola e ben disposta nei confronti della Chiesa. Tuttavia, si dichiarava disponibile ad andare in qualunque posto il Papa lo ritenesse opportuno. Il 9 luglio, monsignor Tedeschini scrisse al cardinale Pacelli che poteva procedere alla nomina di don Manuel a vescovo di Palencia. Il 5 agosto 1935, Pio XI rese pubblica la nomina di don Manuel a vescovo di Palencia. Il 6 ottobre, seguì il corso di esercizi spirituali nella Trappa di Dueñas, situata nel territorio della sua nuova diocesi. Terminati gli esercizi spirituali, il 12 successivo, fece il suo ingresso a Palencia. 



(Dal libro Come un chicco di grano. Biografia di san Manuel González García. A cura di Nicola Gori, El Granito de Arena 2016, pp. 53-57)

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