lunedì 27 novembre 2017

A Málaga (Vita di San Manuel González, 5)

   Nell’estate 1915, si aprì una nuova stagione della sua vita: mentre si trovava in vacanza per alcuni giorni presso la famiglia Escribano a Las Navas del Marqués, in provincia di  Ávila, ricevette una lettera da parte del nunzio apostolico in Spagna, l’arcivescovo Francesco Ragonesi (1850-1931). Lo informava che lo avrebbe proposto come vescovo ausiliare della diocesi di Málaga. La notizia lo gettò in grande apprensione, perché non voleva assolutamente diventare vescovo, anzi, il solo pensiero lo metteva in agitazione. Partì, perciò, per San Sebastián dove si trovava il nunzio apostolico per esporgli i suoi dubbi e scongiurare la nomina. Ma non vi fu niente da fare. La decisione era stata presa. D’altronde, era già da un po’ di tempo che la nunziatura seguiva don Manuel. Era stato notato dall’allora nunzio apostolico, monsignor Antonio Vico (1847-1929), durante la III settimana sociale che si svolse nel 1908 a Siviglia. In quell’occasione, il santo aveva tenuto una conferenza sull’azione sociale del parroco. Ma a quel tempo, don Manuel aveva solo 31 anni, un’età ritenuta prematura per farlo diventare vescovo. 
   Dopo il viaggio a San Sebastián, rientrò a Siviglia e si incontrò con l’arcivescovo per informarlo del colloquio avvenuto con il nunzio apostolico. La cattedra episcopale di Siviglia era occupata a quel tempo dal cardinale Enrique Almaraz y Santos (1847-1922), il quale non si mostrò contento della preannunciata nomina, forse perché si era sentito scavalcato. Don Manuel, allora, spiegò che era stato costretto ad accettare, perché gli avevano detto che era volontà del Papa di nominarlo vescovo. Per dimostrare la sua buona fede, firmò un foglio in bianco e lo consegnò all’arcivescovo, dicendogli che vi avrebbe scritto la rinuncia immediata all’episcopato, qualora il cardinale non fosse stato d’accordo. Allora, l’arcivescovo comprese la sua buona fede e la sua umiltà e dette il beneplacito. 
   Ottenuto il consenso del cardinale, non restava che attendere la decisione ufficiale, che arrivò il 6 dicembre 1915, quando Benedetto XV lo nominò vescovo titolare di Olimpo e, al contempo, ausiliare di Málaga. Il giorno successivo ricevette il telegramma da parte della Santa Sede e, il 16 gennaio 1916, venne ordinato vescovo nella cattedrale di Siviglia dal cardinale Almaraz y Santos. A Huelva la sua nomina venne pianta come una sciagura, perché la sua parrocchia e la città avrebbero perso la sua preziosa presenza. Molti si preoccupavano anche per il futuro di tante opere intraprese. Cosa sarebbe stato di loro? Sarebbero state inevitabilmente abbandonate al loro destino? Tanti timori attraversavano le menti di quelli che fino ad allora avevano collaborato con il santo. 
   Da parte sua, don Manuel ripeteva che sarebbe stato il vescovo del tabernacolo abbandonato, come già ne era stato il parroco. Sarebbe stata questa la sua principale caratteristica che avrebbe impresso al suo ministero episcopale. Occorreva fare in fretta, perché la diocesi di Málaga richiedeva la sua presenza. Così, il tempo per congedarsi dai suoi amici, collaboratori, conoscenti e i ragazzi assistiti fu ridotto dal 20 gennaio all’8 febbraio. Dato l’addio alla sua parrocchia, non restava che organizzare l’ingresso ufficiale nella diocesi che il Papa gli aveva affidato. Accolto con tutti gli onori, il 25 febbraio, giunse a Málaga, dove incontrò l’anziano vescovo Juan Muñoz Herrera (1835-1919). La situazione che don Manuel trovò in diocesi non fu per niente facile: monsignor Muñoz Herrera per motivi di salute aveva lasciato il governo pastorale in mano dei suoi collaboratori. Come spesso avviene in questi casi, ognuno si era ritagliato un pezzetto di potere. Varie rivalità serpeggiavano tra i sacerdoti e il nuovo vescovo veniva a incrinare certe rendite e compromessi che facevano comodo a molti. Sorsero così immediatamente dei problemi e incomprensioni con i collaboratori dell’anziano vescovo che fecero di tutto per ostacolarlo. Neppure trovò comprensione e appoggio in monsignor Muñoz Herrera, che arrivò al punto di confinarlo in poche stanze del palazzo episcopale. La situazione era talmente difficile che don Manuel, il 9 gennaio 1917, decise di scrivere una lettera a monsignor Ragonesi, nella quale sottolineava che la coabitazione di due vescovi in diocesi e il conflitto che si era creato erano uno scandalo per la Chiesa e per le anime. Per questo, gli chiedeva il permesso di svolgere ministero itinerante, oppure, di presentare la rinuncia al governo pastorale. Il nunzio apostolico non voleva neppur sentire parlare di rinuncia da parte di don Manuel, pertanto lo lasciò libero di dedicarsi a tempo pieno al ministero pastorale in diocesi. Da parte sua, il santo, nonostante le ostilità e le difficoltà incontrate, rimase sempre internamente sereno e fiducioso nella Provvidenza divina che a suo tempo sarebbe intervenuta. 
   Visto l’invito del nunzio apostolico, le difficoltà incontrate in curia e il mancato appoggio di monsignor Muñoz Herrera, da quel momento decise di occuparsi della predicazione e della formazione dei sacerdoti. Si realizzava così il suo sogno: essere il vescovo dei tabernacoli abbandonati. Avrebbe svolto il ministero itinerante tra la gente, a contatto con il popolo, andando in cerca della pecorella perduta, sperimentando le fatiche e le gioie del ministero come un tempo, quando era semplice parroco. Avrebbe però annunciato la Parola di Dio con l’autorità di un successore degli apostoli per portare a tutti la misericordia e la grazia divina. Nel marzo 1916 cominciò la visita pastorale alle parrocchie cittadine che poi estese a quelle di tutta la diocesi. Ben conosceva come doveva svolgersi la vita nelle comunità e sapeva quali fossero le difficoltà, i problemi, le attese. Quando arrivava in una parrocchia, il suo interesse principale era che il Santissimo Sacramento avesse la degna lode e il giusto posto nella vita comunitaria e personale. Poi si occupava che venisse ben impartito il catechismo e vi fosse un’adeguata struttura scolastica per l’educazione delle nuove generazioni. 
   Mentre don Manuel continuava a girare la diocesi predicando ed esortando, monsignor Muñoz Herrera decise di ritirarsi a vita privata ad Antequera presso i suoi parenti. Fu così che il 20 gennaio 1917 la Santa Sede poté nominare don Manuel amministratore apostolico della diocesi.  Adesso, anche se non interamente, era  libero di dedicarsi al governo pastorale della comunità a lui affidata. In quel tempo, purtroppo, un grave dolore lo colpì: il 29 marzo morì suo padre. Solo la fede e la speranza lo sostennero dal punto di vista umano. Il 26 dicembre morì anche il vescovo Muñoz Herrera. Era venuto così a mancare l’ostacolo che gli aveva impedito fino ad allora di assumere completamente il governo della diocesi. Infatti, qualche mese dopo, il 22 aprile 1920, Benedetto XV lo nominò vescovo residenziale di Málaga. Come era abitudine al tempo, il nuovo vescovo offriva un fastoso banchetto per festeggiare la nomina. Egli, al contrario, preferì celebrare la messa e condividere il banchetto con circa 3.000 poveri. Un segnale di discontinuità e di semplicità rispetto ai precedenti episcopati e un modo per sottolineare l’importanza di occuparsi degli ultimi e dei più deboli. 
   Lo attendeva, come era ben abituato, un enorme lavoro pastorale, perché conosceva quanto la diocesi fosse piena di problemi e di contraddizioni. Per prima cosa, si occupò del clero e della sua formazione. Visitò chiese e cappelle e, come era sua caratteristica, zelò il culto eucaristico. Purtroppo, gli ex collaboratori del vescovo Muñoz Herrera non perdevano occasione per ostacolarlo e denigrarlo. Oltre a ciò, alcuni sacerdoti gli si opposero subdolamente e uno di loro sembra gli puntasse la pistola al petto. Una volta nel visitare una parrocchia trovò la chiesa quasi abbandonata. Chiese di parlare con il parroco, ma non volle riceverlo. Allora, prese il tabernacolo e se lo portò con sé in episcopio. 
   Molti episodi si potrebbero raccontare, ma quello che più lo faceva soffrire erano le calunnie che mai gli mancarono. Perfino alcuni canonici del Capitolo si misero contro di lui. In effetti, nel suo servizio ministeriale e pastorale stava andando a toccare rendite ormai acquisite da parte di alcuni esponenti del clero e ciò provocava la loro reazione. Arrivò perfino a destituire un parroco, cosa che gli procurò le ostilità dei suoi familiari. C’era chi lo accusava di essere intransigente, altri lo apprezzavano perché vedevano in lui il vescovo che si occupava veramente della diocesi e potava la vite perché desse più frutti. Da parte sua, don Manuel viveva tutte queste difficoltà offrendole a Dio, al suo Cuore, in espiazione e riparazione dei peccati e per il bene dei fratelli, in particolare dei sacerdoti. La croce era il suo pane quotidiano, ma aveva già messo in conto che così sarebbe stato, perché per assomigliare al Maestro doveva passare per la via dolorosa. Sapeva anche che il gregge a lui affidato non era sua proprietà, ma del Signore, egli si considerava solo l’amministratore che doveva rendere conto del suo operato. D’altra parte, l’essere vescovo, cioè successore degli apostoli, lo spingeva per primo a sacrificarsi senza sosta per il bene dei suoi fedeli e perciò ogni difficoltà, sofferenza od ostacolo li viveva come un’occasione per santificarsi. 
   Come sappiamo, fin dai primi anni della sua ordinazione aveva individuato nella formazione del clero uno dei punti deboli della comunità cristiana. Alcuni preti non erano assolutamente in grado di compiere un proficuo ministero pastorale, in quanto mal preparati e poco profondi spiritualmente. Per risolvere la situazione, il santo comprese che occorreva intervenire fin dai primi anni di formazione. Fu così che decise di costruire un nuovo seminario in sostituzione di quello fatiscente. Ciò avrebbe permesso di impostare una formazione più adatta ai tempi e di intervenire quanto prima per compiere una capillare azione vocazionale. Il problema da risolvere non era indifferente, se si considera che dal 1915 al 1918 dal seminario diocesano erano usciti solo 18 nuovi sacerdoti. 
   Per fondare un nuovo seminario occorrevano però notevoli risorse economiche per far fronte all’ingente spesa. Fu così che don Manuel ricorse immediatamente alla Provvidenza divina. Era sicuro che sarebbe intervenuta per aiutarlo a portare a termine il progetto. Si rivolse poi ad alcuni benefattori sui quali sapeva di poter contare e per dare l’esempio per primo versò pro costruzione del seminario i proventi incassati dai diritti d’autore dei suoi libri. Nella gara di solidarietà si distinse la duchessa di Nájera che donò una pietra preziosa. La vendita di questa gemma gli servì per dare inizio ai primi lavori. Da ora in poi, ogni raccolta di fondi sarebbe stata destinata alla costruzione del nuovo edificio. Con grandi speranze, la prima pietra venne posta il 16 maggio 1920. Occorsero quattro anni per veder completato il seminario e poter iniziare i primi corsi. Tante fatiche furono ricompensate: nel biennio 1924-1925 si iscrissero 210 seminaristi. La cappella venne inaugurata successivamente, il 21 aprile 1926. Don Manuel era molto contento di questa nuova fondazione e la considerava come il fiore all’occhiello della sua diocesi. Si preoccupava molto che gli alunni giungessero a essere un giorno sacerdoti secondo il Cuore di Cristo, devoti dell’Eucaristia e pronti a guadagnare le anime a Dio senza pensare al proprio interesse. Per questo, intervenne sul piano di studi e impresse la disciplina necessaria alla formazione. Purtroppo, i superiori del seminario si opponevano ai cambiamenti, perché erano ancora quelli nominati dal vescovo precedente. Fu così che dovette cambiare i vertici e volle che da quel momento in poi vivessero insieme con gli alunni cercando di ricreare il clima di una vera famiglia. Non mancava nemmeno chi l’accusava di aver sperperato del denaro inutilmente per questa costruzione. L’accusa principale era quella di aver voluto un edificio troppo sfarzoso. Altri criticavano il piano di studi che secondo loro era inadatto per una buona preparazione in teologia, al massimo poteva servire per insegnare il catechismo. Noncurante delle accuse, don Manuel si occupò in prima persona dei seminaristi, non perdeva occasione per andarli a trovare e conversare con loro, dava consigli, pregava con loro, curava le coscienze, predicava e vigilava sul buon andamento del corso di formazione. Ben presto il numero di seminaristi crebbe fino a trecento. 
   Dal punta di vista sociale, non mancarono critiche e opposizioni. Da un lato c’era la propaganda protestante che cercava di sottrarre fedeli alla Chiesa cattolica, dall’altro, l’attività dei massoni che volevano screditarlo e impedirgli di continuare a portare avanti le sue opere. Tuttavia, davanti a questa ondata di critiche, il santo non si perse mai d’animo. Gettò ogni preoccupazione nel Cuore di Gesù, al quale aveva affidato tutta la comunità diocesana, compreso il seminario e i suoi preti. Per meglio provvedere alla santificazione del clero e dei fedeli, nel 1918, fondò i Sacerdoti Missionari Eucaristici Diocesani, con lo scopo di riparare Gesù presente nei tabernacoli abbandonati e stare vicini ai sacerdoti. In quell’anno compì un viaggio nel nord della Spagna: visitò Madrid, Bilbao, San Sebastián e Barcellona. 
   Nel 1927 volle che sulla facciata della chiesa del seminario venisse esposta una immagine del Sacro Cuore rivolta verso la città. Era il segno più evidente che tutta la comunità era stata posta sotto la protezione del Cuore di Cristo. Allo stesso modo, zelò la devozione alla Vergine Maria, in particolare a Nostra Signora della Vittoria, patrona di Málaga. 


   (Dal libro Come un chicco di grano. Biografia di san Manuel González García. A cura di Nicola Gori, El Granito de Arena 2016, pp. 71-79)

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