venerdì 24 novembre 2017

Formazione (Vita di San Manuel González, 2)

   Nell’aprile 1893 venne organizzato un pellegrinaggio a Roma, in occasione del giubileo episcopale di Leone XIII. Manuel vi partecipò con grande entusiasmo, perché nutriva una grande devozione e un filiale rispetto per il Successore di Pietro. Fin da piccolo aveva  pregato e offerto sacrifici per il Pontefice, nel quale vedeva la solida roccia su cui poggiava la Chiesa. Giunto all’età di 17 anni, venne chiamato alla leva militare. Riuscì però a trovare le 1.500 pesetas necessarie per venirne esonerato. Fu spinto a questa scelta per timore di perdere la vocazione sacerdotale, che considerava la cosa più preziosa che Dio gli aveva donato. In quell’epoca gli si presentò per la prima volta un’emicrania che l’avrebbe accompagnato fino al termine dei suoi giorni, facendolo soffrire enormemente.  
   L’11 maggio 1886, fece, con la più grande preparazione possibile, la prima comunione nella chiesa delle scuole di San Luigi e, il 5 dicembre dello stesso anno, ricevette il Sacramento della cresima, nel palazzo dell’episcopio, dalle mani dell’arcivescovo, il cardinale Ceferino González y DíazTuñón (1831-1894).  
   Negli studi Manuel si distingueva per essere molto brillante e i professori lo stimavano per l’attenzione e l’impegno profuso nelle materie. A quel tempo, i sacerdoti seguivano il piano di studi in vigore dal 1852, rielaborato dopo la firma del concordato tra Regno di Spagna e Santa Sede dell’anno prima. Era diviso in quattro anni di latino e umanistica, tre di filosofia, sette di teologia e tre di diritto canonico. La teologia insegnata era di tipo post-tridentino con ampi tratti apologetici. La morale era caratterizzata da rigore e da formalità giuridica, considerando ogni cosa nella casistica, fino ai minimi particolari.  
   In quell’ambiente formativo e intellettuale, Manuel plasmò la sua impronta sacerdotale. A quel tempo, il clima del seminario di Siviglia, che contava circa 350 alunni, dei quali 300 interni e 50 esterni, era caratterizzato da contraddizioni: da una parte vigeva il rigorismo e dall’altra la negligenza di molti insegnanti che avevano altri incarichi esterni da portare avanti. Spesso per mantenere la disciplina i superiori ricorrevano al metodo del castigo e della repressione. Questa scelta, unita alla severa impostazione dei corsi di morale, formarono dei sacerdoti con un forte aspetto spirituale, ma con tratti di rigidità che non solo imponevano a se stessi, ma anche ai fedeli. 
   Nel 1887, il seminario di Siviglia venne elevato a Università Pontificia. Fu così creato un nuovo piano di studi, nel quale vennero previsti cinque anni di teologia e tre di diritto canonico. Nonostante le carenze dell’insegnamento accademico e le difficoltà che Manuel dovette superare vista la sua precarietà economica, dal 25 al 29 settembre 1900, conseguì a pieni voti sia il baccellierato, sia la licenza in teologia. Il 5 luglio 1901 anche ottenne il dottorato. La sua carriera accademica non si fermò qui: nel 1903 conseguì anche il baccellierato e la licenza in diritto canonico con il massimo dei voti. Aveva faticato non poco per raggiungere quei risultati, considerando che durante le vacanze era solito fare da precettore in casa Ibarra per guadagnare qualcosa. Oltre a ciò, si iscriveva ai concorsi straordinari per veder di racimolare qualche soldo in più.   
   I suoi superiori e quanti lo conoscevano lo giudicavano un ragazzo aperto, ottimista, affabile, pieno di vita e gioioso. Era scherzoso, ma senza scivolare nel volgare. Sapeva parlare al momento giusto e rimanere in silenzio quando era necessario. A questo proposito, scrisse un libro dal titolo Gesù silenzioso, nel quale sottolineò l’importanza del silenzio nella vita del cristiano e della necessità di seguire l’esempio del Maestro. Due delle qualità più apprezzate del carattere di Manuel erano la semplicità e la sincerità. Era un tipo schietto, comprensivo, evitava le complicazioni e cercava di correggere con affabilità chi ne avesse bisogno. Era incrollabile nel portare a termine un incarico se aveva capito che quella era volontà di Dio. La sua obbedienza verso i superiori era esemplare, visto che in essi vedeva l’espressione del volere divino. 
   Purtroppo, in quel periodo, iniziò a presentarsi l’obesità che l’accompagnò per tutta la vita. Non che dipendesse dal troppo appetito, ma più probabilmente da un problema metabolico. Questa situazione, purtroppo, gli procurò non poca sofferenza, in quanto si sentiva a disagio durante la predicazione. Invitava, infatti, alla misura e alla moderazione, invece il suo aspetto faceva pensare che egli facesse proprio il contrario di quello che chiedeva agli altri. Tuttavia, la causa di questa disfunzione non era per niente imputabile al comportamento alimentare del santo che era assolutamente parco e sobrio nel mangiare. 
   Di pari passo ai successi accademici andava la formazione al sacerdozio. Era un alunno modello: partecipava alla prima messa mattutina, sostava ore in adorazione del Santissimo Sacramento e recitava spesso il Rosario. Cercava di imitare l’esempio dei grandi santi di cui leggeva le biografie e considerava i consigli dei direttori spirituali come la via da seguire per raggiungere la santità. 
   Il 14 aprile 1900, come era consuetudine a quel tempo, ricevette la tonsura e gli ordini minori, nella cappella del palazzo episcopale dal beato arcivescovo Marcelo Spínola y Maestre (1835-1906). Il 1° giugno dell’anno successivo, dopo aver seguito il corso di esercizi spirituali, ricevette il diaconato da monsignor Antonio Cabal y Rodríguez (18351908), vescovo titolare di Lystra. Il 21 settembre 1901, nella cappella del palazzo episcopale, venne ordinato sacerdote dall’arcivescovo Spínola y Maestre. Il 29 seguente, celebrò la sua prima messa nella chiesa del collegio dei salesiani. Da quel giorno, per rispetto al sacerdozio, smise definitivamente di fumare. Dopo l’ordinazione, nel febbraio 1902, l’arcivescovo gli affidò il suo primo incarico: una missione a Palomares del Río, un paesino a sud di Siviglia, al di là del Guadalquivir. Questa esperienza pastorale lo segnerà tutta la vita. Inconsapevolmente andò incontro alla rivelazione di quella che sarebbe stata la sua vocazione da seguire per tutta la vita. Il viaggio per raggiungere il paese non fu affatto comodo: dopo aver attraversato il Guadalquivir con un vaporetto, proseguì a dorso di un asino, perché non vi era altro modo per giungere a destinazione, visto l’isolamento. Appena arrivato, si rese conto che la popolazione aveva smesso di frequentare la chiesa e disertava la messa domenicale. Il suo più grande rammarico fu quello di vedere il Santissimo Sacramento abbandonato completamente dalla gente. Nessuno che visitasse la chiesa, figuriamoci qualcuno che trascorresse del tempo in adorazione. Sentì con profonda tristezza quella solitudine di Gesù come fosse la sua e nacque in lui il desiderio di fargli compagnia. Da quel momento, diventò l’apostolo dei tabernacoli abbandonati. Sarà questa la sua missione che perseguì per tutta la vita. Era stato un vero shock per quel giovane pretino fresco di seminario trovarsi davanti alla dura realtà in cui versava quella parrocchia. Ma non era la sola, anche in moltissime altre il Santissimo Sacramento era dimenticato e abbandonato.   
   A distanza di tempo scriverà di questa esperienza nel piccolo borgo di Palomares del Río: «Di me so dire che considero uno dei maggiori benefici che il Cuore di Gesù mi abbia fatto nella mia vita, e me ne ha fatti tanti e tanti grandi!, l’avermi richiamato l’attenzione su questo male dell’abbandono del tabernacolo e fattomelo conoscere tanto bene in sé e nelle sue conseguenze che già molto tempo fa consacrai tutto il mio sacerdozio, come ora il mio episcopato, a lavorare,  gridare e protestare in tutti i modi possibili contro questo perniciosissimo male, principio e motivo di tutti gli altri mali sociali, domestici e individuali». Da allora in poi, tutta la sua attività pastorale ruotò intorno al bisogno di dare e cercare compagnia a Gesù abbandonato nei tabernacoli. Sentiva questa necessità come un dovere ineludibile, come una chiamata, una missione e un incarico che Cristo gli aveva ispirato e affidato. Tutto caratterizzato da un’impronta riparatrice che segnerà per sempre la sua spiritualità sacerdotale ed episcopale, come scriverà anni dopo: «Non voglio predicare alle genti, né catechizzare i bambini, né consolare i tristi, né soccorrere i poveri, né visitare i popoli, né attrarre cuori, né perdonare peccati contro Dio o ingiurie contro di me, piuttosto per togliere al Cuore di Gesù Sacramentato il grande dolore del suo abbandono e per portargli il dolce regalo della compagnia delle anime. Io non voglio essere il vescovo della sapienza, né delle attività, né dei poveri, né dei ricchi, io non voglio essere più che il vescovo del tabernacolo abbandonato. Per i miei passi non voglio più che un cammino, quello che porta al tabernacolo, e so che andando per questo cammino incontrerò affamati di molte classi, e li sazierò di ogni pane, scoprirò bambini poveri e poveri bambini e mi avanzeranno il denaro e le risorse per aprire scuole e rifugi per rimediare alla loro povertà, mi incontrerò con tristi senza consolazione, con ciechi, con sordi, con invalidi e perfino con morti dell’anima o del corpo, e farò discendere su di loro la gioia della vita e della salute. Io non voglio, io non bramo altra occupazione per la mia vita di vescovo che quella di aprire molte scorciatoie a questo cammino del tabernacolo. Scorciatoie tra questo cammino e i laboratori e le fabbriche degli operai, e le scuole dei bambini, e gli uffici degli uomini d’affari, e i musei e centri dei dotti, e i palazzi dei ricchi e i tuguri dei poveri.    
   La permanenza a Palomares del Río da una semplice missione si trasformò, quindi, in un progetto di vita. Intanto, l’arcivescovo cominciò con l’affidargli alcuni incarichi: l’8 febbraio 1902, lo nominò anche cappellano dell’ospizio per anziani abbandonati di Siviglia. L’11 seguente iniziò a celebrare la messa nella cappella delle Piccole suore dei poveri. Prese sul serio il suo ministero e si recò spesso dagli anziani per catechizzarli, confessarli, consolarli e rallegrarli con il suo buon umore e con il racconto di barzellette. Cercò sempre di essere presente al capezzale dei morenti e di quanti soffrivano, superando anche le difficoltà che comportava trovarsi ad affrontare situazioni di disagio ed estrema povertà. Nel settembre 1902 iniziò la sua attività di predicatore e per questo girò per alcune parrocchie dell’Andalusia. In particolare, venne chiamato a Villalba del Alcor per la festa della Vergine del Carmelo e due anni dopo, a Huelva per la novena del Sacro Cuore.


   (Dal libro Come un chicco di grano. Biografia di san Manuel González García. A cura di Nicola Gori, El Granito de Arena 2016, pp. 43-49)

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