«Sono andato diritto al tabernacolo... e che tabernacolo, Dio mio! Che sforzi dovettero fare la mia fede, il mio coraggio per non fuggire verso la mia casa! Ma, non fuggii. Lì in ginocchio... di fronte a quel mucchio di stracci e sporcizia, la mia fede vedeva attraverso quella porticina tarlata un Gesù così silenzioso, così paziente, così buono, che mi guardava. Sì, sembrava che dopo aver percorso con il suo sguardo quel deserto d’anime, fissava il suo sguardo, triste e supplichevole, che mi diceva tanto e mi chiedeva di più. Uno sguardo in cui si riflettevano una grande voglia di amare e un’angoscia infinita anche per non trovare chi voleva essere amato. Uno sguardo dove si rifletteva tutta la tristezza del Vangelo: la tristezza di quel “non c’era posto per loro a Betlemme”, la tristezza delle sue parole: “Anche voi volete lasciarmi?”, la tristezza del tradimento di Giuda, del rinnegamento di Pietro, dello schiaffo del soldato, dell’abbandono di tutti... Uno sguardo che mi è penetrato nell’anima e che non ho dimenticato mai».
Lasciamo risuonare dentro di noi queste parole:
«Lì in ginocchio... la mia fede vedeva… un Gesù così silenzioso, così paziente, così buono, che mi guardava... che mi diceva tanto e mi chiedeva di più...»
Chiediamo al Signore la grazia di approfondire nella presenza viva di Gesù nell'Eucaristia, perché anche noi possiamo dare una risposta d'amore all'amore di Gesù che si dona per noi.
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