Il 4 marzo 1910 dette vita all’Opera delle Tre Marie, con lo scopo di formare un gruppo di fedeli sull’esempio delle tre donne di cui parla san Giovanni nel suo Vangelo, e che la tradizione identifica in Maria la Madre di Gesù, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Come queste donne seguirono Gesù nei tre giorni della sua Passione, morte e resurrezione e si recarono al sepolcro per ungerne il corpo, così le nuove Marie dovevano occuparsi di adorare l’Eucaristia conservata nei tabernacoli, specialmente in quelli più abbandonati. La cerimonia di fondazione si svolse nella cappella del Santissimo Sacramento della parrocchia di San Pietro. Don Manuel indicò i compiti che questa Opera doveva avere: «Provvedere di Marie adoratrici i tabernacoli deserti, convertiti oggi in Calvari per l’ingratitudine e l’abbandono dei cristiani. L’Opera si dedicherà, quindi, come al suo obiettivo essenziale e necessario, a cercare che non ci sia tabernacolo senza le sue tre Marie».
Nelle sue intenzioni, il Fondatore voleva che queste Marie fossero donne con una forte interiorità e con uno spirito di oblazione che le avvicinasse a Cristo. A questo proposito, scriveva: «La Maria sa che, per parlare del tabernacolo e del Gesù che dentro di esso vive, non dovrebbe avere più verbi tra gli uomini che quelli che significano amore grato: come credere, adorare, confidare, sperare, cercare, comunicare, imitare, amare, essere e fondersi di amore..., ma disgraziatamente, vede, ascolta e legge le dolcissime parole Gesù Sacramentato unite a queste amarezze e bruttezze: profanato, negato, dibattuto, rubato, pugnalato, sacrilegamente mangiato, sputato e tutto questo varie volte e sempre, sempre in maggior o minore intensità quell’altra, se non tanto offensiva, al sembrare, come le altre più funestamente trascendentale: “abbandonato”!». Parole che non lasciano dubbi riguardo alla missione che hanno le Marie di imitare il Maestro, perché non basta solo far compagnia a Gesù nel tabernacolo, ma serve assimilarsi a Lui, pensare come Lui pensava, operare come Lui operava, comportarsi come Lui si comportava. Il Vangelo è il fondamento delle Marie, al quale si ispirano e guardano come al libro di vita da seguire. Il santo è stato molto chiaro al riguardo: «L’Opera delle Marie nacque nella fedeltà di Galilea, si battezzò nelle lacrime della strada dell’Amarezza, si confermò nel sangue del Calvario e si perpetuò nell’amore dell’Eucaristia... Già si nota quanto è antica la nostra Opera: per questa ragione non ammetto che mi dicano che sono stato colui che l’ha fondata, ma chi per misericordia di Dio ne ha sentito la mancanza...». Si riconferma ancora una volta che la missione delle Marie è strettamente legata all’annuncio evangelico. Infatti, trovano la ragione d’essere nel momento in cui Gesù iniziò la sua dolorosa passione che si concluse con la sua morte e risurrezione, come scriveva don Manuel: «L’ufficio delle Marie del Vangelo sempre esercitato e quello che potrebbe chiamarsi caratteristico, fu lo stare con Gesù, supplendo ciò che poteva mancare. Avere per il Maestro degli occhi che sempre lo guarderanno, degli orecchi che sempre lo ascolteranno, dei piedi che sempre lo seguiranno, un cuore che sempre batterà all’unisono con il suo, e questo più che per convenienza o svago propri, volentieri e per riparazione e gloria sua, ciò fu il grande ufficio delle Marie». Queste donne saranno le mani, i piedi, le membra di Cristo per portare agli altri la sua misericordia, per curare, amare, abbracciare, consolare, fasciare le ferite dell’anima e del corpo di tanti fratelli sparsi per il mondo. Dovranno farlo con quella donazione e generosità che contraddistinse le Marie del Vangelo, dovranno essere come loro, donne senza timore, che per servire il Maestro e in Lui tutti i fratelli, non si risparmieranno pericoli e fatiche. Ecco, perché guardando alle scene evangeliche, il santo esclamava: «Le Marie del Sepolcro! Delicatezze di amore, generosità della pietà, eroismo della fedeltà, valenza della debolezza, qui avete la vostra Opera e la vostra immagine! Così si ama! Così si ama fino alla fine! Se la storia dei miei uomini nella mia Passione può scriversi con l’“abbandono, fuggirono tutti!” del mio Evangelista, la storia delle mie Marie si dovrebbe scrivere con “Maria Maddalena andò di mattino prima dell’alba al sepolcro”...». Ecco svelato il ruolo delle Marie: amare con la caratteristica tipicamente femminile, con i dettagli dell’affetto, della tenerezza, della dolcezza. Con la stessa fedeltà che ebbe la Maddalena nel voler rimanere accanto al Maestro, perché aveva perduto il più grande amore della sua vita, Colui che solo aveva parole di vita eterna, senza il quale l’esistenza le era diventata improvvisamente senza senso. Da qui, la sintetica frase di don Manuel che definisce il compito di queste donne: «Tutto il vocabolario eucaristico si riduce a due parole: Compagnia! e abbandono! Niente più!». Due realtà opposte l’una all’altra: all’abbandono si contrappone la compagnia. Davanti alla desolazione, alla solitudine, alla mancanza di sostegno umano e di affetto, le Marie fanno compagnia, cioè offrono la loro presenza, la loro natura, il loro modo di amare e di stare insieme per vivere il mistero eucaristico. Tutto il resto è superfluo!
A poco a poco, l’Opera si diffuse nelle parrocchie della diocesi, della Spagna e poi in varie nazioni. Nel 1913 anche a Cuba venne fondato il primo gruppo di Marie. La prima Maria a diventare missionaria e a fare apostolato al di fuori di Huelva fu Mercedes López, che si spostò a Palos de Moguer. Visitò il Santissimo Sacramento, lo adornò con dei fiori, rimase in adorazione silenziosa, poi sollecitò la gente a fare compagnia a Gesù spiegando i benefici della devozione eucaristica.
Visto il rapido diffondersi di questa pia unione, il santo pensò di associare alle Marie anche il ramo maschile. Gli erano rimasti impressi i racconti evangelici in cui si narra che san Giovanni, il discepolo prediletto, era sempre stato vicino a Gesù. E’ stato lui che, ai piedi della croce, ha accolto la Vergine Maria come la più preziosa eredità lasciata dal Maestro. Questa fedeltà a Cristo fino alla fine davanti alla solitudine e all’abbandono del Calvario lo colpì profondamente. Fu così che poco tempo dopo le Marie, fondò i Discepoli di san Giovanni, perché anche loro si mostrassero fedeli amici di Gesù quando tutti gli altri lo avevano abbandonato. Il primo gruppo era composto da ventidue giovani che si impegnavano a comunicarsi quotidianamente e a visitare il Santissimo Sacramento in spirito di riparazione. Nel gruppo dei Discepoli di san Giovanni coinvolse anche i seminaristi e i sacerdoti, che formarono i «giovanni sacerdotali» e i «giovanni seminaristi».
Poco più tardi, pensò anche di coinvolgere i bambini in questa attività eucaristica e fondò il gruppo I Giovannini, che poi cambiò in Bambini riparatori o Riparazione infantile eucaristica. Coinvolse anche questi ragazzi per risvegliare la pratica cristiana tra la gente. Radunò una banda giovanile e la mandò in giro per la città con degli striscioni con sopra scritto: «Cristiani a messa; lo comanda Dio!».
Era talmente convinto che la santità si raggiunge solo se uniti a Cristo e alla fonte della grazia che si trova nel suo Corpo e nel suo Sangue che ogni anno rendeva noto il numero di comunioni distribuite nel suo apostolato. Compiva tutto tenendo presente la volontà del suo «Amo» («Il Padrone»), come chiamava con affetto e riverenza Dio. Di pari passo all’attività pastorale andavano anche le opere caritative ed educative a favore della gioventù. Nei giorni 1° e 2 aprile 1911, l’arcivescovo di Siviglia benedisse e inaugurò la chiesa e le scuole della colonia del Polvorín, che nel 1914 vennero affidate alle suore della Compagnia di Santa Teresa, fondate dal beato Enrique de Ossó y Cervelló (1840-1896).
Il 27 novembre 1912, accompagnando l’arcivescovo di Siviglia a Roma che doveva ricevere la berretta cardinalizia, ebbe la gioia di poter incontrare Pio X, al quale spiegò la sua opera eucaristica e quanto stavano facendo le Marie nelle parrocchie e nelle chiese abbandonate della Spagna.
Si interessò anche a quello che avveniva a livello ecclesiale nazionale alzando lo sguardo oltre la sua parrocchia e l’arcidiocesi. Partecipò all’assemblea di Azione sociale cattolica che si svolse a Granada e nel 1913 al congresso catechistico nazionale di Valladolid. In quell’anno compì un viaggio sulle orme di santa Teresa di Gesù: Salamanca, Alba de Tormes e Ávila. Purtroppo, il 16 gennaio 1914 un grave lutto lo colpì: la morte di sua madre, alla quale era molto legato.
Tanta attività pastorale e caritativa non lo distolse dall’attenzione alla sua parrocchia. Il suo zelo lo spinse a spendersi interamente per i suoi fedeli. Sostava nel confessionale in attesa di qualche penitente. Predicava anche più volte al giorno e insegnava il catechismo a quanti più ragazzi poteva. Senza dimenticare le visite ai malati, ai poveri e agli anziani abbandonati. In occasione di alcune tragedie avvenute in città e nei dintorni si premurò di far avere beni e viveri a quanti erano stati colpiti dalle calamità. Si occupò anche delle vocazioni al sacerdozio e aprì una sorta di seminario minore in un luogo di fortuna: nella stanza delle campane della chiesa di San Pietro. Fondò anche l’Opera di vocazioni del Sacro Cuore di Gesù. Dove trovare i fondi necessari per le tutte queste attività? Don Manuel organizzava regolarmente delle lotterie e invitava chi aveva possibilità economiche a condividerle con gli altri. Tanto zelo provocò la reazione degli ambienti anticlericali che lo calunniarono, lo minacciarono e giunsero perfino a volerlo morto. Il clima era talmente surriscaldato dal punto di vista sociale, che un giorno gli si presentò in sacrestia un uomo armato di pistola con l’intenzione di ucciderlo. Mentre aveva l’arma puntata al petto, il santo non si perse d’animo, fiducioso in Dio, riuscì a far ragionare l’uomo, che desistette dalle sue intenzioni e si convertì.
Tutta la sua vita ruotò intorno al principio di voler «eucaristizzare» le realtà che lo circondavano, come scriveva al proposito: «Sono convinto e persuaso che nell’eucaristizzazione della scuola, del pulpito, di centri di azione, dei procedimenti apostolici, di tutto il lavoro e degli orientamenti tutti della vita cristiana sta il summum della sua sicurezza, efficacia e prosperità, e questa persuasione di tal modo mi spinge e assorbe che, oggi per oggi, e Dio sia benedetto perciò, quando penso, dirigo, scrivo e respiro a questo solo va: quanto di scritti, opere, bambini, vecchi, uomini, donne e di quanto mi circondi o riguardi, germogli perennemente in un modo o nell’altro, e ognuno nel suo linguaggio, l’inno e cantico della fede, del riconoscimento e dell’amore al Cuore di Gesù Sacramentato». Leggendo queste parole, viene in mente la celebre frase paolina nella prima Lettera ai Corinzi: ricapitolare tutte le cose in Cristo. La spiritualità di don Manuel è quindi strettamente cristocentrica, riconduce ogni attività e pensiero al Salvatore. Niente sfugge di quanto è stato creato al desiderio di riportarlo interamente al Redentore. La via più semplice per raggiungere questo obiettivo è quella di usare dei benefici e delle grazie che sgorgano dal Cuore eucaristico di Gesù, dal quale abbiamo ricevuto ogni pienezza. Non meraviglia, quindi, che il santo invitasse con fermezza a guardare senza indugi al modello del Buon Pastore per svolgere ogni attività apostolica. Anzi, era convinto che ogni battezzato dovrebbe ricalcare nella sua vita le stesse virtù e caratteristiche interiori di Gesù, soprattutto nell’abbandono al Padre e nella fiducia completa nella sua Parola. Il santo poi spiegò nei dettagli cosa intendesse per «eucaristizzare»: «L’azione di tornare a un popolo pazzo di amore per il Cuore eucaristico di Gesù». Ecco qui il segreto del discepolo di Cristo: amare Dio e i fratelli. Senza questo aspetto fondamentale ogni sequela sarebbe vana. Volgere lo sguardo al Signore, tornare con il cuore contrito a Lui, riconoscerlo non solo come Maestro, ma come unico Salvatore dell’uomo è ciò che più di ogni altra cosa ogni cristiano deve tenere ben presente. Don Manuel in questa frase sottolineava anche un altro aspetto: non si può essere discepoli separati, non si ama isolati dagli altri, ma si deve tornare a essere un popolo, cioè una comunità che ama all’unisono. Rientra in questo disegno l’eucaristizzazione di ogni realtà che ci circonda, a cominciare dal catechismo, al quale il santo attribuiva grande importanza. Scriveva a questo proposito: «L’eucaristizzazione di esso significa che quanto dica, faccia, dia, studi e preghi il catechista, tenda a risvegliare e sviluppare nel bambino la fede viva, il gusto e il senso della presenza reale di Gesù nella Sacra Eucaristia». Anche la catechesi, quindi, deve servire per ricondurre le anime a riconoscere e amare Gesù presente nell’Eucaristia. Occorre perciò approfittare degli insegnamenti della Chiesa per riscoprire quel tesoro di grazie che Dio ha voluto lasciare agli uomini sulla terra: la presenza viva di Cristo nel Sacramento dell’altare.
(Dal libro Come un chicco di grano. Biografia di san Manuel González García. A cura di Nicola Gori, El Granito de Arena 2016, pp. 61-68)
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