Siviglia nella seconda metà dell’Ottocento era una città dalle mille contraddizioni. Povertà e ricchezza vivevano una al fianco dell’altra. Dello splendore e del prestigio che la città rivestiva nel Secolo d’Oro per essere stata il centro del commercio con le colonie spagnole e la più importante metropoli del regno rimanevano dei ricordi e delle vestigia. Ma la dura realtà, in quello scorcio del XIX secolo, era ben altra. Periodicamente, la popolazione veniva colpita da epidemie. La grande maggioranza viveva al limite della povertà e, nonostante un ceto artigianale e commerciale importante, non mancavano le crisi e i problemi economici.
E’ in questo contesto storico che, il 25 febbraio 1877, nacque Manuel González García. Terzo dei cinque figli del matrimonio tra Martín González Lara e Antonia García Pérez. Venne battezzato, il 28 febbraio successivo, nella parrocchia di San Bartolomeo con i nomi di Manuel Jesús de la Purísima Concepción e Antonio Félix de la Santísima Trinidad.
Era venuto alla luce in una famiglia semplice, profondamente religiosa e attaccata alle tradizioni. In casa si recitava ogni giorno il Rosario, al mattino e alla sera non mancavano le preghiere in comune, come l’Angelus e il suffragio per i defunti. La madre, in particolare, era una donna molto pia e partecipava ogni mattina alla messa. Purtroppo, la situazione economica familiare non era per niente florida. I genitori si guadagnavano il pane con il lavoro quotidiano: la madre era sarta e il padre faceva il falegname nel collegio cittadino dei salesiani. Nel 1875 erano stati costretti a immigrare a Siviglia da Antequera, un borgo in provincia di Málaga, proprio in cerca di lavoro e di migliori condizioni di vita.
Tanta povertà era compensata dalla fiducia nella Provvidenza di questi genitori che si amavano e riconoscevano nel Signore la loro forza. Pur nelle ristrettezze economiche, infatti, erano convinti che i figli fossero una benedizione e non un problema e così, a poco a poco, la famiglia crebbe di numero. Educarono la prole al rispetto di Dio e del prossimo. In questo clima semplice e religioso, Manuel acquisì una sensibilità particolare per le cose di Dio. Qualità che aveva appreso dall’insegnamento e dall’esempio di autentica testimonianza cristiana proprio dei genitori. Fin da piccolo aveva imparato a recitare il Rosario quando, alla sera, la famiglia si riuniva. Sorse in quel periodo la sua grande attrazione per l’Eucaristia. Dopo la prima comunione, non perse mai occasione per accostarsi al Sacramento, pur con i limiti che vigevano a quel tempo. Si appartava per rimanere in silenzio a meditare sul grande mistero di un Dio che si fa Corpo e Sangue nel pane e nel vino consacrati. Era anche molto devoto della Vergine Maria che considerava sua Madre e protettrice. Certamente, questo interesse per la religione non sfuggì ai suoi familiari. Notavano in lui una predisposizione per le cose di Dio non comune per un bambino di pochi anni.
Raggiunta l’età scolare, venne mandato a frequentare una scuola pubblica dove rimase qualche tempo. Poi venne trasferito in una seconda e in una terza e, infine, per interessamento dello zio sacerdote, venne iscritto al collegio «San Luis». Tanti cambiamenti di scuola fecero sperimentare al piccolo Manuel la diversa metodologia di insegnamento e i vari approcci all’educazione di maestri più o meno preparati. Questi trasferimenti gli saranno utili in seguito, perché aveva avuto la possibilità, sebbene indotta e non voluta, di sperimentare di persona come la preparazione del maestro influisca fondamentalmente nel processo educativo e nel successo o meno dell’istruzione. Trovandosi costretto a girare per varie scuole, comprese che per il bene dei fanciulli e del loro futuro, sarebbe stato utile un diverso metodo di insegnamento che fosse più rispettoso della dignità degli alunni e li aiutasse a inserirsi nella società, offrendo loro un futuro per sottrarli alla miseria e alla malavita.
All’età di 9-10 anni Manuel si presentava come un ragazzo alto, magro, con capelli biondi e occhi azzurri e con una voce vibrante e dolce. Veniva considerato un vero talento canoro. Nutrendo un grande desiderio di appartenere ai cantori della cattedrale, i cosiddetti «seises», chiese aiuto a suo zio per entrare nel collegio di «San Miguel», dove il Capitolo metropolitano curava la formazione dei bambini del famoso coro. I canonici vagliarono la richiesta di ammissione e lo ritennero idoneo per cantare, vista la sua dolce voce, l’amore che portava alla musica e l’udito molto sensibile.
Occorre sottolineare l’importanza dei «seises» per Siviglia e il ruolo che avevano per tutta la città e non solo per la comunità ecclesiale. Erano dieci bambini che facevano riferimento alla cattedrale, conosciuti per una danza sacra che eseguivano davanti al Santissimo Sacramento in tre occasioni dell’anno: nella solennità del Corpus Domini, nella solennità dell’Immacolata, e nel triduo di Carnevale. Questa tradizione risale al tempo del Rinascimento. I cantori o «seises» vivevano con il maestro di cappella e da lui ricevevano educazione e mantenimento, fino a quando nel XVII secolo vennero ospitati come alunni interni nel collegio creato dai canonici capitolari. Il collegio di «San Isidoro», conosciuto popolarmente con il nome di «San Miguel”, nel quale entrarono i primi «seises» il 1° gennaio 1636, era stato fondato nel 1633 per gli accoliti della cattedrale, e venne chiuso nel 1960. Al tempo in cui entrò Manuel era ancora all’apice del prestigio. Era, quindi, senza dubbio un onore entrare in quel collegio, e molti avrebbero fatto carte false per essere ammessi, ma al piccolo interessava soprattutto poter cantare e ballare nella solennità del Corpus Domini davanti al Santissimo Sacramento, il suo unico amore!
Dopo tanta preghiera e riflessione, ben presto nacque in lui il desiderio di diventare sacerdote. Ne parlò con il parroco e trovò conferma al suo desiderio. Il sacerdote gli preparò la lettera di presentazione e di buona condotta per essere ammesso all’esame di ingresso nel seminario. Il suo ardente zelo per bruciare le tappe e diventare prete lo spinse a iscriversi all’esame nel Centro diocesano senza nemmeno avvertire la famiglia della sua scelta. Ma il piccolo aveva fretta, sentiva dentro di sé la chiamata del Signore a seguirlo più da vicino e non voleva perdere tempo. D’altra parte, la sua vocazione non era un fuoco di paglia, ma affondava le radici fin dalla tenerà età e si era fortificata dall’esempio dei genitori e di quanti lo circondavano. Senza dimenticare la vicinanza e la familiarità con una comunità particolarmente incline all’espressione religiosa.
Grande rammarico e sorpresa sorsero nei genitori quando Manuel si presentò in casa con la notizia di essere stato ammesso alla prova per entrare in seminario. Sinceramente, erano rimasti male, perché temevano si trattasse di un’infatuazione di un bambino e che forse tutto si sarebbe risolto in un capriccio temporaneo. A questi timori non era estraneo il problema economico, perché si doveva mantenere il figlio negli studi per lunghi anni, mentre si preparava al sacerdozio. Per questo, in un primo momento, i genitori non gli concessero il permesso. Oltretutto, erano rimasti delusi dal comportamento di un altro figlio che era prima entrato e poi uscito dal seminario. Nonostante le incertezze, vista la determinazione di Manuel, gli venne concesso il permesso di partecipare all’esame di ammissione. Il 19 settembre 1889 venne poi inviata all’arcivescovo l’istanza per l’ingresso in seminario. Il giorno seguente superò l’esame con buoni voti. Il 28 settembre, vista la «somma povertà» della famiglia, venne fatta richiesta per una borsa di studio e per l’esenzione dalle tasse di iscrizione e degli esami. Lo facilitò in questa petizione, l’essere inserito nei cantori della cattedrale. Era prevista, infatti, per chi apparteneva ai «seises» e voleva seguire gli studi ecclesiastici, l’assegnazione di borse di studio. L’esenzione dalle spese però lo obbligava a prestare servizio come domestico: si doveva occupare delle pulizie e rimanere a disposizione anche durante le vacanze.
Manuel non si scoraggiò del lavoro che l’attendeva e iniziò i corsi nell’anno accademico 1889-1890, dando prova di grande serietà e di profondo impegno negli studi. Si era guadagnato anche la stima e il rispetto dei superiori per la sua obbedienza. Si dimostrò anche molto disponibile verso i suoi compagni di classe, ai quali prestava volentieri gli appunti delle lezioni. Si distinse per essere sempre di buon umore e aperto agli altri. D’altronde, il suo tratto scherzoso e gioviale lo rendeva affabile. Anche con i superiori riusciva a farsi ben volere ed aveva la capacità di ottenere molto di quello che chiedeva. Si racconta che una volta durante le vacanze pasquali desiderava andare a casa, ma non gli volevano concedere il permesso. Dopo varie richieste lo ottenne, ma durante la sua permanenza in famiglia si ammalò. Fu perciò costretto a rientrare due giorni dopo che le vacanze erano terminate e i superiori, credendo fosse una ripicca, per punizione gli imposero di svolgere servizio notturno per tre mesi.
Un’altra volta, si ammalò di febbre tifoidea al punto che si temette per la sua vita. In quell’occasione il suo confessore, don Pérez, non fece altro che confermare quello che era l’opinione di molti: se fosse morto sarebbe andato in Paradiso, perché non aveva mai perduto l’innocenza battesimale. A questo proposito, è importante ricordare come Manuel era molto attento alla virtù della castità. Si era perfino cinto il fianco con il cordone di san Tommaso – una devozione diffusa a quel tempo – per esprimere il suo desiderio di vivere casto. Virtù che lo caratterizzò fino agli ultimi istanti della sua esistenza.
(Dal libro Come un chicco di grano. Biografia di san Manuel González García. A cura di Nicola Gori, El Granito de Arena 2016, pp. 35-40)
Nessun commento:
Posta un commento