martedì 19 dicembre 2017
giovedì 7 dicembre 2017
sabato 2 dicembre 2017
Situazione sociale e religiosa (Vita di San Manuel González, 10)
Dal punto di vista religioso, l’epoca in cui visse Manuel González García si caratterizzò per forti tensioni e contraddizioni. Al momento della stesura della Costituzione del 1876, i conservatori vedevano di fondamentale importanza valorizzare la Spagna dal punto di vista religioso, considerando i valori cattolici della maggioranza della popolazione. Al contrario, le classi politiche più progressiste cercavano di far riconoscere nel Paese il diritto alla libertà religiosa, quale segno di civiltà. Per conciliare queste posizioni, venne trovato un compromesso: la fede cattolica venne dichiarata religione di Stato, ma venne permessa in ambito privato la pratica di altre religioni. Oltre alla concessione della libertà di culto, nonostante determinate restrizioni, vennero eliminati i vincoli medievali che ancora sussistevano tra Chiesa cattolica e popolazione rurale. La parte più liberale della classe politica si trasformò così in un elemento contrario e ostile alla Chiesa. L’intento era di allontanare dall’influenza della Chiesa le masse di operai che avevano abbandonato la terra per cercare lavoro nelle città. Ciò veniva perseguito attraverso campagne di denigrazione nei confronti della religione cattolica, che veniva presentata come nemica del popolo e della sua felicità. Con il termine della reggenza di Maria Cristina d’Asburgo-Tenschen, il 17 aprile 1902, si inaugurava una violenta propaganda antireligiosa. Il clero e soprattutto i gesuiti venivano insultati pubblicamente e la paura serpeggiava nella comunità ecclesiale. Nel Concordato tra Stato e Chiesa era stabilito che l’insegnamento della dottrina cattolica fosse inserito nei programmi ufficiali statali. Con l’avvento delle giunta rivoluzionaria le cose cambiarono. Le Cortes decretarono la libertà di insegnamento basandosi sull’ideologia del krausismo, cioè la difesa della tolleranza accademica e della libertà di cattedra davanti al dogmatismo. Alla Chiesa non restava che agire in privato o in istituzioni non pubbliche. Vennero così create le Accademie della gioventù, quella di San Luigi, gli Studi dell’associazione dei cattolici di Spagna. Sorsero così numerose opere di apostolato e di educazione, gestite da congregazioni religiose o da sacerdoti volenterosi. Si calcola che alla fine del XIX secolo in Spagna fossero circa 40.000 suore, sparse in 2.656 comunità, delle quali 910 si dedicavano all’educazione. Vi erano anche 10.630 religiosi, riuniti in 597 comunità, 294 delle quali dedite all’insegnamento. Anche le missioni popolari promosse dai gesuiti e da altri ordini erano impegnavate in ambito educativo. Un grande impulso all’azione in campo sociale venne dalla promulgazione dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Grazie alla sollecitazione del Pontefice, i cattolici si occuparono sempre più delle condizioni di lavoro della classe operaia. Si deve all’iniziativa di vari vescovi e sacerdoti l’istituzione di Circoli di operai cattolici, del Banco popolare Leone XIII e della Federazione nazionale di operai. Nel 1909 si contavano 370 casse rurali di matrice cattolica.
In Andalusia, terra natale del santo, sorsero varie opere sociali in ambito educativo e caritativo per andare incontro ai bisogni delle masse dei lavoratori che subivano ingiustizie, soprusi e discriminazioni. Le città aumentavano continuamente di popolazione visto il continuo afflusso di contadini alla ricerca di impiego. Si creò il cosiddetto «ensanche», come veniva chiamato all’epoca il sistema di alloggi per tanta gente immigrata dalle campagne. Questo fenomeno non regolato dette vita a veri e propri tuguri e al «chabolismo», alloggiamenti provvisori vicini al luogo di lavoro. Le città cambiarono di aspetto e così le classi sociali: aumentarono i giovani, crebbe la borghesia, si ingrossarono le fila di proletari, favorendo le tensioni tra nuovi arrivati e cittadini. Ciò creò una massa di persone senza lavoro, senza alloggio, senza mezzi di sussistenza che si concentrava nelle grandi città della Spagna e in particolare dell’Andalusia. Si viveva in condizioni igieniche e ambientali disastrose, dove le epidemie erano all’ordine del giorno e la promiscuità regnava sovrana. I salari erano irrisori rispetto al minimo per vivere dignitosamente. Si lavorava anche sedici ore in condizioni terribili, sottoposti a incidenti e senza nessuna tutela per le donne e i bambini. Nonostante la legge del luglio 1873 proibisse il lavoro minorile, i bambini venivano regolarmente impiegati anche nei lavori più duri e pericolosi. Al lato di questa massa proletaria, la città pullulava di altrettanti sciagurati, quali poveri, mendicanti, invalidi, ladri, prostitute, saltimbanchi. Tutta gente che non aveva nemmeno un tetto dove dormire e che spesso tirava a campare giorno per giorno, rischiando anche di morire di fame o di malattia. Esistevano strutture caritative e assistenziali per aiutare questi disperati, ma la loro capacità era insufficiente. Anche sul piano dell’educazione, le scuole potevano occuparsi solo del 50% della popolazione in età scolare. Infatti, nel 1908 le scuole in Spagna erano 30.075, insufficienti a sradicare l’analfabetismo.
Un altro elemento che caratterizzò l’Andalusia di quel tempo, fu la diffusione delle comunità protestanti, a seguito della Costituzione del 1876 che sanciva la tolleranza religiosa. I predicatori partivano dal dominio inglese di Gibilterra e andavano tra le classi più povere di lavoratori delle città andaluse. Costruivano cappelle e aprivano scuole gratuite per istruire quella massa di gente che a poco a poco abbracciava il protestantesimo. In questo modo, cercavano di colmare il vuoto statale nell’educazione primaria dell’infanzia. Nel 1873 venne fondato il Seminario teologico di Puerto de Santa María e i predicatori evangelici cominciarono una propaganda a base di libri, riviste e foglietti. Con il regno di Alfonso XII la comunità protestante dovette rallentare la sua opera di diffusione e concentrarsi sulla classe proletaria, fino al 1886, quando venne sancita la libertà di religione. Per contrastare l’influsso protestante e quello laicista, che cercavano di farsi strada tra i meno abbienti, da parte cattolica si iniziò un’opera capillare di apostolato e di alfabetizzazione dei figli dei lavoratori con l’apertura di nuove scuole. D’altronde, l’anticlericalismo prendeva sempre più campo e alimentava il rancore contro la Chiesa, incolpata di essere la causa del ritardo del progresso in Spagna, dell’analfabetizzazione e dell’arretratezza culturale del popolo.
Le rivolte anarchiche e le tensioni sociali che sfociarono in moti rivoluzionari ebbero come obiettivo anche quello di ridurre l’influsso della Chiesa e di allontanarla dalla popolazione. Nel 1909, durante la settimana rossa di Barcellona, vennero saccheggiate e incendiate più di cinquanta chiese e case religiose. Tuttavia, nonostante gli attacchi, la Chiesa mantenne il suo prestigio nella società spagnola. Nel 1920 su una popolazione di 21 milioni di abitanti vi erano 34.420 sacerdoti, uno ogni 613 persone. Come sempre accade, si colpiva la Chiesa per abbattere il potere civile che la sosteneva. Tuttavia, la comunità ecclesiale mai si dimenticò dei poveri, dei disperati, di quelli a cui mancava la speranza.
Con la proclamazione della seconda repubblica spagnola, il 14 aprile 1931, la situazione nei confronti della Chiesa peggiorò ovunque, perché i partiti al potere erano pervasi da anticlericalismo e propugnavano la laicità assoluta, considerando normale la persecuzione religiosa pur di raggiungere l’obiettivo. L’ideologia si trasformò in pratica e l’11 maggio 1931 ebbe luogo l’incendio di più di un centinaio di chiese e conventi a Madrid, Siviglia, Cordova, Cadice, Murcia, Saragozza, Valenza e Málaga, senza che il governo si opponesse, o consegnasse alla giustizia i responsabili. A quel tempo vescovo di Málaga era il nostro santo. La stessa situazione don Manuel trovò a Palencia, anche se molto meno drammatica che in Andalusia.
(Dal libro Come un chicco di grano. Biografia di san Manuel González García. A cura di Nicola Gori, El Granito de Arena 2016, pp. 118-122)
venerdì 1 dicembre 2017
Breve panorama storico (Vita di San Manuel González, 9)
Per comprendere il contesto storico in cui nacque il santo occorre risalire indietro negli anni. Dopo la reggenza di Maria Cristina d’Asburgo-Teschen (1858-1929), che durò dal 1885 al 1902, il trono di Spagna passò ad Alfonso XIII, il quale si distinse subito per l’interventismo in ambito politico. Allo scoppio della prima guerra mondiale, la Spagna dichiarò la propria neutralità. Questo favorì un certo benessere; ma la classe dirigente si divise tra simpatizzanti degli alleati e degli imperi centrali. La popolazione, a causa dell’aumento dei prezzi, subì un deciso crollo del potere d’acquisto. Ciò favorì forti tensioni sociali che provocarono la reazione degli ufficiali dell’esercito, non contenti del peggioramento del loro tenore di vita e per certi favoritismi del re nelle promozioni di carriera. Nel maggio 1917 dettero vita a delle Giunte di difesa, ammesse dal governo. Nuovi scioperi scoppiarono nel Paese: a luglio a Valencia, Bilbao e Santiago di Compostella, ad agosto si erano talmente diffuse che anche diversi membri della polizia vi parteciparono, per cui toccò all’esercito intervenire.
Negli anni 1918 e 1919 vi furono ribellioni contadine a causa degli ennesimi rinvii della riforma agraria. Nel sud del paese insorsero i braccianti, che occuparono alcune grandi proprietà, mentre gli anarchici continuarono nei loro intenti di capovolgere il potere. Il clima sociale era percorso da violenze continue tra fazioni rivali dei sindacalisti di diverse ispirazioni politiche. Il Patto del Pardo crollò, perché i due partiti al potere erano ormai logorati e travolti dagli scandali elettorali. Ne approfittarono i vari potenti locali, i cosiddetti cacicchi, impedendo lo sviluppo di un movimento operaio legale e la diffusione delle idee democratiche. I repubblicani furono emarginati, gli intellettuali, tra i quali gli appartenenti alla famosa «generazione del 1898», che contava anche José Ortega y Gasset (1883-1955), vennero considerati i promotori del disordine. Vani i tentativi di riformare il sistema scolastico, nonostante che metà degli spagnoli agli inizi del XX secolo fossero ancora analfabeti. Dopo la «settimana tragica» di Barcellona, la popolazione catalana cominciò a distaccarsi dal resto del Paese, così anche i Paesi Baschi. I cattolici continuarono a essere emarginati, nonostante la stragrande maggioranza della popolazione appartenesse alla Chiesa. Non ebbe successo nemmeno la formazione di un grande partito cattolico, nonostante i propositi del «Grupo de la democracia cristiana» di Aznar, del «Partido social popular» e dell’«Acción social popular». L’episcopato non fece troppe pressioni, perché era abbastanza diffidente nei confronti della classe politica e attendeva l’avvento di tempi migliori.
Nei primi anni Venti del XX secolo si ebbe una netta diminuzione dei conflitti sociali e l’affermazione di una nuova classe di imprenditori, sostenuta dai conservatori. Nel 1914 venne fondata la Federazione imprenditoriale, che si diffuse molto in Catalogna e strinse alleanza con l’esercito. Per contrastare le spinte progressiste questa Federazione promosse la formazione di sindacati «liberi» e il finanziamento di milizie armate. Nuove ondate di violenza caratterizzarono quel periodo. Il presidente del Consiglio, Eduardo Dato Iradier (1856-1921) venne ucciso nel marzo 1921, poi il 4 giugno 1923 fu la volta del cardinale Juan Soldevilla y Romero (1843-1923) a Saragozza, i cui assassini vennero amnistiati dalle autorità della repubblica nel 1931. Visto il perdurare delle tensioni sociali, la media borghesia si alleò con la parte militare-imprenditoriale. Per far fallire gli scioperi, venne impiegata la milizia borghese. In questo modo, il funzionamento dei servizi interrotti veniva assicurato.
Nel luglio 1921, un avvenimento sconvolse il Paese: in Marocco nella battaglia di Annual le forze delle tribù del Rif sconfissero le truppe spagnole, massacrando circa 18.000 uomini. Nel febbraio 1923 vennero indette le elezioni che, per la prima volta, si svolsero correttamente. Il programma del governo prevedeva delle riforme, nonostante l’opposizione dei militari e degli industriali. Il re Alfonso XIII (18861941) si schierò dalla parte dell’esercito contro la classe politica. Il 2 ottobre 1923, il governo volle istituire una commissione d’inchiesta, ma il clima virava all’insurrezione.
Nel settembre 1923, con l’appoggio dell’esercito, dei latifondisti, dei sindacati e degli imprenditori catalani, Miguel Primo de Rivera (1870-1930) compì un colpo di Stato. Alfonso XIII lo nominò primo ministro. I primi atti furono la sospensione della Costituzione, l’istituzione della legge marziale, la censura e il bando di tutti i partiti politici. De Rivera fondò l’Unión patriótica española, creando di fatto un solo partito. Cercò di ridurre la disoccupazione investendo nelle opere pubbliche, ma le spese statali provocarono una notevole inflazione, che scontentò la popolazione. A seguito del crollo di Wall Street del 1929 la situazione economica subì un duro peggioramento. Perduto l’appoggio di quasi tutte le parti sociali e del re, nel gennaio 1930, si dimise. Le sue dimissioni, pochi mesi dopo, favorirono la caduta della monarchia e l’avvento della seconda repubblica.
Nelle elezioni dell’aprile 1931 i repubblicani ottennero un vasto successo. Il re lasciò il Paese e il 14 aprile venne proclamata la repubblica. Nel giugno successivo, una coalizione di repubblicani e socialisti ottenne un ampio risultato positivo alle elezioni per le Cortes, e in ottobre venne formato un governo di coalizione guidato da Manuel Azaña y Díaz (1880-1940), che dette vita a un programma di riforme. Tra queste: quella agraria e la relativa redistribuzione delle terre, la separazione tra Stato e Chiesa, la laicizzazione dell’insegnamento, l’introduzione del divorzio. Alcune di queste riforme non vennero ben accolte dalla popolazione e incontrarono anche la netta opposizione dei conservatori.
Con la vittoria delle destre nelle elezioni del 1933 ebbe inizio un nuovo periodo di scontri politici, che portarono nell’ottobre 1934 all’insurrezione operaia nelle Asturie, repressa nel sangue. Nel 1936 le sinistre tornarono alla guida del Paese con il Fronte popolare e Azaña y Díaz tornò alla presidenza. Le sinistre riproposero la legislazione riformatrice, ma ampi disordini scoppiarono in tutto il Paese tra sostenitori e avversari del governo. Continue occupazioni di terre e distruzioni di chiese, oltre a numerosi scioperi si alternarono per tutto l’anno. In questo panorama, il generale Francisco Franco (1892-1975) si ribellò alla repubblica con il sostegno della maggioranza dell’esercito. L’insurrezione militare ebbe inizio il 17 luglio 1936 a Melilla, in Marocco. Il giorno seguente si diffuse in tutta la Spagna, che si ritrovò divisa in due zone: quella rurale, controllata dalle forze dei ribelli, e quella formata da aree industriali e urbane, fedele alla repubblica.
Cominciò così la guerra civile, dove le parti in conflitto ricevettero aiuti dall’estero: Hitler e Mussolini sostennero le truppe di Franco, mentre l’Unione Sovietica appoggiò i repubblicani, che ricevettero il contributo delle Brigate internazionali formate da volontari europei e americani. Il generale Franco si proclamò capo della Falange nazionalista, il movimento politico di ispirazione fascista. Il fronte opposto, guidato da Juan Negrín (1892-1956), era composto da socialisti moderati e anarchici, comunisti e autonomisti baschi e catalani.
Nel corso della guerra civile, in un primo momento, le truppe franchiste non riuscirono a conquistare Madrid, allora si volsero verso le province basche, le Asturie e le altre regioni industriali del Nord (aprile-ottobre 1937), appoggiate dalle truppe fasciste italiane e dall’aviazione tedesca, che il 26 aprile rase al suolo la città di Guernica. Nel 1938 le forze franchiste riuscirono a dividere in due la zona nemica. Le sorti della guerra volgevano al meglio per il generale Franco: Barcellona venne presa il 26 gennaio 1939; due mesi dopo cadde anche Madrid. La guerra civile si concluse il 1° aprile: lasciò la Spagna distrutta, con un milione circa di morti. Con la presa del potere, Franco non fece distinzione tra repubblicani moderati e militanti comunisti, socialisti e anarchici «nemici della Spagna». Circa 300.000 oppositori furono costretti all’esilio. Le riforme sociali promosse dal governo repubblicano vennero annullate. Allo scoppio della seconda guerra mondiale la Spagna proclamò la sua neutralità. Nel 1947 Franco ristabilì la monarchia, ma si proclamò reggente a vita.
(Dal libro Come un chicco di grano. Biografia di san Manuel González García. A cura di Nicola Gori, El Granito de Arena 2016, pp. 113-118)
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